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I Kossovari ricominciano a sognare la "grande Albania" – Le Figaro

di Redazione
29 Marzo 2008
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KossovoAnche se, per il momento, conta il pragmatismo, sono in molti a sperare che al termine le terre albanesi saranno riunificate.

Dalla proclamazione d’indipendenza del Kosovo, il Memoriale di Prekaz, dedicato a Adem Jashari, il “leggendario comandante” ucciso dalle forze serbe con 55 persone della sua famiglia, il 5 marzo 1998, è sempre affollato.

Gli autobus portano a centinaia gli scolari della regione, venuti a prostrarsi da al busto dall’immensa barba che era alla testa della resistenza contro i serbi nella Drenica, questa regione povera e rurale del Kossovo, considerata il cuore del nazionalismo albanese. Sostenuta da un’impalcatura di legno, la casa del comandante è stata lasciata come si trovava, crivellata di proiettili. In basso, le 55 tombe dei membri della famiglia Jashari sono tutte coperte di fiori. Quella d’Arben è sorvegliata da due membri del TMK, la forza di sicurezza del Kossovo, davanti a voi.

Instancabile, la guida racconta agli ospiti la storia di questa famiglia che aveva trasformato Prekaz in un villaggio di Asterix che teneva testa a Belgrado. Con solo la pozione magica, dei fucili e “l’amore per la libertà”. “Per sette anni, spiega con orgoglio, le forze serbe non sono potute penetrare nel villaggio”. La battaglia finale, che è durata tre giorni, si è conclusa con “l’immenso sacrificio” di Jashari, e anche con quello dei bambini, morti a fianco del comandante. “Questo mausoleo, detto la guida, è diventato un simbolo per tutta la nazione albanese, non soltanto per il Kossovo”.

Dalla fine della guerra, nel 1999, sette milioni di persone, venute dal mondo intero, vengono qui in raccoglimento. Bislim Arifi un Albanese del Belgio che è fuggito dal Kosovo nel 1991, è alla sua terza visita. “Regolarmente, sento il bisogno di venire qui in raccoglimento.” Per i Kossovari, Jashari simbolizza la liberazione del Kossovo. E per gli Albanesi da allora, rappresenta la libertà”. Arben Jashari, i cui ritratti in formato gigante, con la tuta da guerrigliero, decorano molti edifici pubblici di Pristina è diventato un eroe pan-albanese, un mito dell’unificazione del paese.

L’indipendenza del Kossovo è stata celebrata con lo stesso entusiasmo a Tirana in Albania, e nelle Comunità albanesi in Macedonia, del sud della Serbia e del Montenegro. Sulle alture della Drenica, nel cuore del Kossovo che rivendica il sua origine con gli Illiri, giunti nella regione alla fine del secondo millennio prima di Cristo, sui tetti delle case quella che sventola non è la nuova bandiera, blu con stelle gialle, imposta dalla Comunità internazionale. Ma quella della nazione albanese, rosso vivo con un’aquila nera a due teste. E poco importa che la missione delle Nazioni Unite abbia proibito i canti nazionalistici durante le celebrazioni. Qui, la nascita dello Stato kossovaro è considerata come una rivalsa sulla storia e sulla conferenza di Londra che, nel 1912, ha diviso la nazione albanese in molti territori.

Integrazione europea Tre principali correnti attraversano gli ambienti politici del Kossovo. La prima, minoritaria, vuole rafforzare l’identità kossovara del nuovo Stato. Una seconda portata dai vecchi militanti dell’UCK, la guerriglia kossovara, che da tempo si è evoluta nel movimento di Enver Hoxha, il vecchio presidente staliniano dell’Albania milita per “l’Albania etnica”. Essi considerano l’indipendenza del Kossovo come una tappa verso la riunificazione, al termine, delle terre albanesi. Una terza, maggioritaria, rappresentata dal primo ministro Hashim Thaçi, considera il Kossovo come un secondo Stato albanese.

“Il Kosovo non si battuto per una bandiera, ma per la sua libertà. Abbiamo combattuto per cent’anni per ottenerla. Questi festeggiamenti sono stati quelli del popolo kossovaro. Ma anche quelli della nazione albanese”, spiega Bajram Kosumi, ex primo ministro del Kossovo ed attuale deputato. Riconosce che occorrerà del tempo perché i nuovi simboli del Kossovo, ed in particolare la sua bandiera, “siano accettati”. Ma egli non esclude. Ufficialmente in ogni caso. Poiché se tutti riconoscono, a Pristina, che la “questione albanese” non è stata ancora regolata, per il momento occorre essere pragmatici. La Comunità internazionale ha autorizzato l’indipendenza del Kossovo a condizione essa resti un caso unico e non faccia seguito nessun cambiamento di frontiere nella regione. I responsabili politici kossovari, che sanno questo quanto devono alla Nato ed all’Onu, hanno promesso di stare al gioco.

“La grande Albania fa parte dei sogni di tutti gli Albanesi. Ma si sa anche, nel Kossovo, che è troppo presto per evocarla “, riassume un’insegnante della facoltà di Pristina. Per il momento l’argomento resta tabù. E come dice Bajram Kosumi: “Questo nuovo paese si forma con molte idee e con concetti diversi. Le cose non sono semplici. Non possono risolversi in una notte. Il Kossovo deve ora avanzare verso l’integrazione europea. Tra dieci anni, una volta che i conflitti nazionali si saranno placati nei Balcani, si potrà rimettere tutto sul piatto per chiarire le cose che si devono fare. Ma non prima”.

Traduzione Alberto/Hurricane

Argomenti: Adem JashariGrande AlbaniaKosovaLe Figaro
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