Sedici pagine, tre macrorubriche: Torino e dintorni, Italie e Mondi, formato tabloid, grafica leggera con uso dell’arancione. È nato Glob011, un mensile di informazione glocale e interculturale in formato cartaceo e gratuito, edito dall’Associazione Piemondo
I cittadini torinesi, come spiegato nell’editoriale del numero 0, uscito a dicembre 2010, potranno leggervi “le notizie di una città, di un’Italia e di un mondo in continua trasformazione”. Sì, perché queste “non possono essere raccontate da un solo punto di vista o con l’ausilio di luoghi comuni e semplificazioni”. E come sostiene Gabriella Mancini, direttrice responsabile di Glob011, si tratta di una sfida perché non “è facile riuscire a raccontare la realtà in modo approfondito, autentico e diverso dal solito”. Ovviamente, tra gli obiettivi rientra anche “il diritto alla corretta informazione” che dovrebbe essere “responsabile”, perché secondo la direttrice Mancini “il giornalismo si riduce spesso a un’informazione scarsa, basilare, sempre abbastanza soggettiva e di conseguenza anche poco autentica”. Un’altra sfida della redazione di Glob011 è quella di “essere in mezzo e dentro i luoghi pubblici e di socialità, in modo che si possa avere un contatto con la popolazione”. Per questo motivo, ha scelto anche di fare le riunioni “dentro i luoghi pubblici torinesi”, come ad esempio “al kebab di Fatima, nel quartiere storico di San Salvario, un punto centrale della città, crocevia di gente, ma anche in altri locali significativi”. Punte forte del mensile che non vuole parlare solo di immigrazione, è proprio la redazione. Di fatto, interculturale, è composta da cinque giornalisti di origine diversa: due italiani, un algerino, una montenegrina e un turco. Un percorso per nulla scontato, ma i cinque sono riusciti nonostante le loro diversità a trovare un equilibrio e confrontarsi sulle tematiche da trattare su Glob011.
Tante le notizie che potete leggere nelle sedici pagine del mensile, di cui a febbraio è uscito anche il secondo numero . Ovviamente potete consultarlo gratuitamente anche online sul sito www.youblisher.com. E se vi piace averlo nel vostro archivio, non esitate a scaricarlo. Ma se siete di Torino, cercate la versione cartacea, quella autentica.
Glob011 nasce con l’obiettivo di raccontare una città, un’Italia e un mondo in continua trasformazione che non siano quelli soliti costruiti facendo uso di luoghi comuni e semplificazioni. Un compito per nulla facile.
Questo è il nostro intento e ci stiamo proviamo. Non solo un intento ma una sfida perché non è facile riuscire a raccontare la realtà in modo approfondito, autentico e diverso dal solito, cambiando anche la metodologia con la quale di solito l’informazione lavora nei grandi giornali.
Già nel numero zero, uscito lo scorso dicembre, si nota anche un impegno per disfare i luoghi comuni. Ad esempio leggendo l’articolo sui risultati dell’Osservatorio europeo sui media che mette a confronto i tg di cinque europei e l’agenda mediatica con quella sociale dei cittadini. È cosi?
Esatto. Si tratta di uscire dai luoghi comuni e abbattere gli stereotipi. È questo l’obiettivo principale. Come scritto anche nell’editoriale del numero zero, ci tengo a ribadire che non è un giornale riferito solamente all’immigrazione. È chiaro che il focus è l’informazione glocale e interculturale ma non solo. Quando ci siamo incontrati con il gruppo di Piemondo, abbiamo valutato che sul territorio non esisteva un mezzo di informazione che parlasse degli stranieri, non solo in modo criminalizzante, pietistico ma dandoli la voce in prima persona. L’idea è proprio quella di riumanizzarli e restituirli quella dignità che i media spesso li hanno tolto. La metodologia è quella di ritagliare storie relative alle immigrazioni che ci sono a Torino e in tutta Italia, e raccogliere anche quelle che si intrecciano e si incontrano nell’intero mondo.
Nell’editoriale del numero zero, vi richiamate anche a “uno dei primi diritti: quello alla corretta informazione”. Ammesso che la correttezza nel giornalismo è un concetto molto soggettivo, relativo e discutibile, non è meglio parlare di informazione responsabile?
Sì, corretta e responsabile.
Inoltre, nel numero zero, incorporato all’articolo in terza pagina sui rifugiati a Torino, c’è anche un piccolo glossario di termini sul loro mondo. Era necessario?
Il glossario è importante. L’abbiamo fatto per i rifugiati (e lo faremo per altre questioni) perché la maggior parte dei lettori non sa neanche di cosa esattamente si sta parlando. Quindi, si è tentato di far capire in modo semplice ma nello stesso tempo chiaro le differenze tra un migrante, un apolide etc. Questo fa parte di quell’informazione che noi speriamo diventi responsabile e sensibilizzi il lettore portandolo, magari, ad approfondire perché chiaramente un articolo in un giornale freepress non può essere lunghissimo. Il numero zero ci ha dato la conferma che i nostri articoli erano troppo lunghi e un po’ pesanti. Ci sono arrivati commenti ed e-mail molto positive e favorevoli rispetto agli argomenti, ma in alcune ci consigliavano di alleggerire un po’ il tono. La gente non riesce a leggere articoli troppo lunghi anche se interessanti, perché la lettura di un giornale gratuito, a volte, avviene sui mezzi pubblici nei 15-20 venti minuti in cui si raggiunge il posto di lavoro, per cui devono essere informazioni chiare e sintetiche.
La Carta di Roma, il codice deontologico sui temi delle migrazioni, mi sembra molto freddo, distaccato, quasi il risultato di un sintesi sofferta e corredato da un glossario di solo 6 termini “giuridicamente appropriati” per i giornalisti. Non sono un po’ pochi per fare informazione responsabile?
Ebbene sì, sono effettivamente pochi. L’informazione responsabile dovrebbe aprire un ampio raggio. Purtroppo è cosi. Il giornalismo si riduce spesso a un’informazione scarsa, basilare, sempre abbastanza soggettiva e di conseguenza anche poco autentica.
In “Torino e dintorni” volete raccontare la Torino di oggi confondendosi tra la gente nei luoghi della città, ricercando la notizia “dal vivo” e interagendo nello spazio urbano. Non vi sembra di aver scoperto l’acqua calda? Alla fine, il giornalismo nel locale è sempre stato quello che voi vi prefiggete di fare, o mi sbaglio?
Chiaramente il giornalismo è quello: andare in mezzo alla gente, sentire, respirare l’aria, capire cosa succede, approfondire con loro gli argomenti e poi raccontarli. Ma l’idea di essere in mezzo e dentro i luoghi pubblici e di socialità, in modo che si possa avere un contatto con la popolazione rientra tra i nostri obiettivi. Noi non abbiamo una redazione nostra. Abbiamo deciso di fare le nostre riunioni dentro i luoghi pubblici torinesi. Per ora ci siamo incontrati molte volte presso il Kebab di Fatima, nel quartiere storico di San Salvario, un punto centrale della città, crocevia di gente, ma anche in altri localisignificativi. Ci vediamo una volta alla settimana. Conoscendoci, sarebbe bello che la gente potesse sapere dove ci riuniamo e dire: “bene la redazione di Glob011 è nel kebab di Fatima, ci vado perché gli racconto che ha aperto una nuova sartoria qui vicino, oppure…”.
Sembra che il giornalismo ha perso quel suo confondersi tra la gente e andare a cercare la notizia soprattutto a livello locale.
Secondo noi sì. Il giornalismo nasce un po’ anche da que
st’idea. Effettivamente non c’è tutto quell’entusiasmo che magari c’era tanti anni fa nel fare giornalismo. Il giornalismo si riduce, oggi, più che altro a una finestrella che uno apre e richiude subito, si siede a tavolino, magari, perché ha sentito la notizia e la descrive senza esserne stato dentro.
Come viene rappresentata oggi l’immigrazione a Torino dalla stampa e dalle tv locali?
Di fatto, nei media nazionali e locali l’immigrazione è rappresentata quasi sempre in modo criminalizzante. La figura dell’immigrato di qualsiasi nazionalità viene fuori con accezioni negative perché ha compiuto un reato, un furto piuttosto che uno stupro. Se non c’è il versante criminalizzante, c’è quello pietistico. A Torino ci sono le immigrazioni dal sud del mondo dagli anni settanta, e adesso stiamo parlando delle seconde e delle terze generazioni che sono nate qui e di conseguenza sono cittadini italiani. Secondo noi, bisogna parlare di una società che si sta trasformando e trovare insieme delle risposte su quelli che sono i grossi punti, i grossi nei della società. Il problema dell’occupazione, il problema delle donne, dei bambini, della scuola etc. Intervenire in questo senso come se fossimo effettivamente uniti, senza creare muri divisori tra italiani e stranieri perché di fatto siamo tutti cittadini del mondo.
Siete un esempio di quello che dovrebbero essere le redazioni del futuro, in una parola: interculturali. 5 giornalisti: due di origine italiana, uno algerina, uno turca, una montenegrina. Come fatte a mettervi d’accordo?
È stato un lavoro molto lungo. Devo dire che adesso gli equilibri sono buoni per cui riusciamo a lavorare abbastanza bene insieme. Come in ogni gruppo, anche se fossimo solamente italiani o montenegrini, ci sarebbero sicuramente delle problematiche perché ognuno ha un suo bagaglio culturale, un’esperienza alle spalle e la propria personalità. Si tratta di confrontarsi sulle tematiche che magari ognuno vede a modo suo. Per cui si dialoga e si cercano dei compromessi. Devo dire non è stato facile all’inizio soprattutto perché non ci conoscevamo tutti. Spero che questo giornale, con i chiari di luna che ci sono a livello anche economico, possa andare avanti con sponsor pubblicitari. Comunque sia finora le prime sfide sono state positive. Stiamo raccogliendo i frutti. Ci siamo ritrovati insieme ex novo e siamo partiti dal realizzare un progetto totalmente nuovo assieme. Il nostro intento è anche fare un laboratorio di informazione responsabile e volevamo essere i primi a sperimentarla sul campo, sensibilizzando le nuove leve che si vogliono avvicinare al giornalismo. Non solo… anche chi ha fatto tanto giornalismo e sta riscoprendo la voglia di farlo in modo differente, immergendosi in modo più approfondito nelle notizie e cercando di vederle da più sfaccettature. Questo è l’intento molto forte e comune a tutti e cinque e ha fatto sì che anche i possibili disequilibri che esistano in tutti i gruppi, di fatto, si ammorbidissero.
Inoltre l’altra macrorubrica è intitolata “Italie”. È un riferimento alla Padania laboriosa e alla Roma ladrona?
No. Noi abbiamo pensato, proprio in questo concetto delle sfaccettature di vedere il mondo con una lente che non fosse microscopica ma macroscopica. Non ci sono riferimenti di nessun tipo. È semplicemente perché di mondi ce ne sono tanti. Di Italie non ce ne solamente una, ma appunto viviamo in contesti differenti ed è interessante valutarli tutti quanti. Si tratta di parlare al plurale di una Torino che è in continua evoluzione e anche di un’Italia che è diversa. Ci sono tante Italie nella stessa Italia e bisogna cercare di raccontarle un po’ tutte.
Il vostro è un progetto lungimirante ma finanziato con fondi della Provincia di Torino, della Regione Piemonte e della Compagnia di San Paolo. Sarà anche di lunga durata?
Lo speriamo. Per adesso la Provincia ci ha dato questa possibilità. Non soltanto a noi, ma a diverse associazioni che si occupano di immigrazione. Forse la nostra era l’unica che si occupava di comunicazione ed era anche una nuova voce riferita a questo bando che credo che fosse da anni che usciva, ed era più che altro rivolto alle associazioni che lavorano nel campo dell’integrazione. È uno start up che ci ha aiutato a stampare i primi numeri. Anche la Compagni San Paolo ha trovato interessante il progetto e ci sta supportando.
In futuro come pensate di sostenere questo progetto?
Essendo nata come freepress, dovrà sostenersi con la pubblicità. Per cui l’idea è quella che ci possano essere degli sponsor pubblicitari che trovino valido il giornale e che decidono di mettere le loro inserzioni. I costi tipografici sono molto alti e noi non ci paghiamo. Il nostro lavoro, ora come ora, è prettamente da passionari ed è volontario.
E per quanto riguarda il tiraggio e la distribuzione di Glob011?
Il tiraggio iniziale era 25.000 copie. Abbiamo scelto di fare un giornale con colori per vivacizzarlo un pò e sono saliti anche i costi. Ora dobbiamo abbassare leggermente la tiratura. Potremmo arrivare a stampare 15 -20 mila copie. Glob011 viene distribuito in tutta la città. Ad esempio l’Ufficio del comune per gli stranieri, piuttosto che i centri interculturali, le biblioteche, le circoscrizioni, gli ospedali, i locali cittadini, le Università… Nelle principali stazioni metropolitane Torino Porta Nuova, Torino Porta Susa, i vari call center, i ristoranti etnici. Insomma è abbastanza capillare.
Una sintesi di tutti i riscontri che vi sono arrivati dai cittadini.
Ci sono già diverse proposte di collaborazione e siamo soddisfatti di questo. Sembra che sia stato accolto in modo favorevole. Non solamente dalle istituzioni, nel senso che magari appunto la Compagnia di San Paolo nel promuovere il giornale magari riesce a mandarlo via e-mail al loro database per cui arriva ancora di più a livello capillare su tutta Torino. Però ci scrivono anche dei giornalisti che sono interessati o semplicemente della gente che vuole raccontare una storia, un aneddoto. Magari anche solamente il pittore che ha dipinto un murales a Torino e vuole raccontarci la sua simbologia, piuttosto che chi si è occupato della Cina e vuole scrivere del Capodanno cinese. Insomma, è piaciuto e ci stiamo lavorando, è un work in progress. Se non avremmo degli sponsor pubblicitari, non potremmo continuare a farlo uscire e lavorare sempre ed esclusivamente come volontari perché le risorse psico-fisiche vengono a mancare. Già sapere che la gente l’ha trovato uno strumento di informazione valido ci gratifica. Noi diamo molta attenzione a questo. Il numero uno è diverso dal numero zero. Concetti, obiettivi e contenuti sono quelli però abbiamo cercato di inserire delle micro rubriche più “leggere”.
In alcuni casi, ho notato che i periodici nati da fondi pubblici, oltre a fornire informazioni di servizio, si trasformano in mezzi di comunicazione istituzionale e sono “politically correct” verso le istituzioni che le finanziano. Voi correte questo rischio?
No. Oggettivamente non mi sembra perché con l’uscita di questi tre numeri, il progetto finanziato dalla Provincia è finito. E non ci hanno chiesto nulla. La Compagnia di San Paolo ci chiede di pubblicare i loro eventi, ma di solito sono in linea con il nostro giornale, per cui non andiamo contro quella che è la linea editoriale e su questo siamo stati anche chiari.