Il 4 novembre scorso, a Paderno Dugnano, dall’esplosione avvenuta in un’azienda chimica, sono rimasti gravemente feriti 7 operai, 5 dei quali albanesi. Il dramma riporta in primo piano per l’ennesima volta la questione della sicurezza nei luoghi di lavoro e l’esposizione maggiore che i lavoratori immigrati hanno, svolgendo le mansioni più a rischio. Non vogliamo che l’attenzione dei media cali frettolosamente in quanto i feriti sono immigrati. Janni Cajku Luan Cejku è andato all’ospedale Niguarda, dove sono ricoverati alcuni di loro.
Il padiglione “DEA” dell’Ospedale Niguarda di Milano è sovraffollato. Italiani e immigrati condividono quasi in silenzio gli spazi riservati ai visitatori. Le sale di attesa sono piene anche nel tardo pomeriggio. Il piano terra sembra un po’ più rumoroso poiché gli infermieri parlano ad alta voce ai loro pazienti per tenerli svegli in attesa di consegnarli ai medici di turno. Il primo piano dove si trova il “Centro Ustione” è sorvegliato da un agente di sicurezza, possono entrare solo i parenti stretti dei ricoverati. I giornalisti non possono entrare in nessun modo. Le informazioni sono riservate. Fuori si può parlare con chiunque ma non con i familiari degli albanesi ricoverati in condizioni gravissimi. Loro non ne vogliono sapere dei giornalisti. Ciò nonostante, se il giornalista parla albanese e la sua voce ondeggia come una nuvola battuta dal vento mentre chiede delle condizioni dei loro familiari rimasti feriti in quel inferno scatenato nella fabbrica di Paderno, l’atteggiamento cambia. Stiamo fuori dal padiglione. Uno scambio di sigarette in segno di rispetto, come da tradizione tra albanesi ci da modo di presentarsi. Ma solo il più anziano trova la forza di parlare dell’accaduto. Lui è Gjin Shehu, zio di Leonardo Shehu, uno dei cinque albanesi rimasti feriti. Racconta come ha piantato il lavoro ed è corso per raggiungere il nipote Nardi, il diminutivo con cui i suoi famigliari chiamano Leonardo. Si sente fiducioso, perche Nardi è in buone mani. I medici stano facendo l’impossibile per salvarlo. Le sue condizioni sono ancora molto gravi. Ha ustionato più del 90% del corpo. Sono rimasti salvi solo i piedi, perché indossava le scarpe da lavoro che, a quanto pare, hanno resistito alla temperatura altissima che ha avvoltolato la fabbrica.
Gjin è un uomo credente, e non smette di pregare “Dio” di salvare Nardi: “ha solo 37 anni e deve salvarsi”. Nardi è sposato da 16 anni ma non ha figli. Sua moglie è sofferente ma paziente e fiduciosa. Bisogna aspettare la giornata di oggi (martedì 9 novembre ndr), ci dice lo zio Gjin, perché Nardi sarà sottoposto ad un intervento per rimediare le parti dell’addome, dove ha delle ferite più profonde. I medici vogliono prevenire le infezioni, proteggendo anche gli organi interni del corpo che oltre alla funzione fisiologica, assolvono a quella energetica o simbolica, corrispondente a ciò che comunemente conosciamo come “emozione”. Stando a quanto dicono i suoi medici, il cuore di Nardi sembra essere in ottime condizioni. “L’ho sempre detto che ha un cuore forte”, esclama Gjin, rubando un “infelice sorriso” alla moglie di Nardi che è sempre in compagnia di un gruppetto di parenti. Ci dicono che lei è molto preoccupata per il fatto di trovarsi da sola in Italia. Vorrebbe far venire suo fratello che vive in Albania per starle vicino ma non sa se gli rilasceranno il visto per questo motivo. E sembra che non sia possibile dato che suo fratello non è stretto parente di Nardi. La moglie di Nardi trova il tempo e la forza di rispondere a qualche breve domanda.
Avete contattato il Consolato albanese di Milano?
Il Consolato Albanese di Milano ci ha invitati a rivolgersi a loro per qualsiasi cosa. Sono stati molto gentili. Sono venuti loro a trovarci. È vero che loro rappresentano il governo albanese, ma da Tirana non si è fatto sentire nessuno a parte qualcuno che cerca di avere notizie con lo scopo di riempire qualche pagina di giornale. D’altronde è il loro mestiere e vivono dando notizie. Ma noi non vogliamo a che fare con giornali e cose di questo genere.
Qualche visita da parte di enti locali milanesi?
Si. È venuto un funzionario del Comune di Milano. È stato gentile e si è dimostrato disponibile e al nostro servizio per eventuali aiuti da parte del Comune. Si sono presentati vari organizzazioni e sindacati. Ma per il momento non abbiamo tempo di discutere con loro. Per ora siamo aggrappati allo splendido staff dei medici che si stano prendendo cura di Nardi. Ci aggiornano dopo ogni visita che fanno a Nardi. Sono gentili e molto disponibili.
Ha avuto modo di entrare a vedere suo marito?
Si. Ci fanno entrare. Però non si può comunicare con lui, è nel reparto di rianimazione sin dal primo giorno.
Mentre saluto tutti, lasciandoli nel loro dolore, mi si avvicina lo zio Gjin. Dice di essere preoccupato anche per il fatto che la moglie di Nardi non ha un lavoro fisso, collabora con delle famiglie facendo i mestieri di casa, ma se non va a lavorare non verrà pagata. Mi tranquillizza il fatto che lei non è da sola. È circondata da familiari e parenti. L’importante è che Nardi si salvi.