E’ rientrato nella giornata di ieri in Italia, scortato dal Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia della Direzione Centrale della Polizia Criminale, il 47enne albanese accusato, in concorso con altri, dell’omicidio del giovane bracciante di 22 anni, Hyso Telharaj, avvenuto nel settembre 1999 nelle campagne di Foggia.
ll nome di Hyso è diventato un simbolo della ribellione contro la piaga del caporalato, ma anche di riscatto e rinascita, ricordato spesso dall’Associazione Libera che per il ventennale della morte, a settembre 2019, ha promosso tre giorni di memoria e impegno dal titolo “Il dolce sorriso di Hyso Telharaj”.
La storia di Hyso Telharaj
Aveva 22 anni Hyso Telharaj quando venne ucciso dal caporalato in Puglia l’8 settembre 1989. Era partito dall’Albania. Era partito dall’Albania negli in cui la caduta della dittatura e l’assenza delle istituzioni statali porta la gente a scappare via, a provare a ricostruirsi una vita. Così anche lui arriva in Puglia dove inizia a lavorare alla raccolta dei pomodori tra Cerignola e Borgo Incoronata.
Hyso vuole mettere da parte i soldi per iscriversi a scuola e studiare da geometra. Ma Hyso non sa che la vita dei braccianti agricoli pugliesi è scandita da regole ferree, che non si può sfuggire a un sistema di controllo quale il caporalato, che non è libero di scegliere per sé.
Si ritrova incastrato in quel sistema criminale che quasi decide della vita e della morte dei lavoratori della terra. Paghe misere, condizioni di lavoro al limite dello schiavismo e, soprattutto, l’obbligo di restituire una parte della propria paga ai ‘caporali’, persone di cui il lavoratore spesso non conosce nemmeno i volti.
Hyso non ci sta. Sogna un futuro migliore di quello che l’Albania non ha potuto dargli. I soldi gli servono, li ha guadagnati sudando e non ci sta a pagare la tangente. Si ribella, non sapendo che, facendo in questo modo, costituisce una sorta di precedente che può indurre anche altri lavoratori a ribellarsi. Il ‘no’ ai caporali sarà la sua condanna a morte.
Il 5 settembre 1999, quando è in Italia da pochissimi mesi, qualcuno lo avverte che lo stanno venendo a cercare. Ha schiacciato i piedi a qualcuno, come si suole dire. Gli suggeriscono di fuggire, per mettersi in salvo, ma lui non lo fa. Lo trovano e parte il pestaggio. Tre giorni di agonia in ospedale e poi muore l’8 settembre.
In Italia non ne parlerà più nessuno, neanche all’interno della sua famiglia. Fino a quando Ajada, una ragazza di origine albanese, in Italia dall’età di 11 anni, partecipa ad un campo di “E!State Liberi”. Viene a conoscenza della storia di Hyso e decide di rintracciare la famiglia, far conoscere loro la triste storia di Hyso ma anche renderli partecipi della memoria viva che i giovani dell’Associazione Libera quotidianamente trasmettono con i loro racconti. E riesce a dare un volto a Hyso Telharaj.
Un percorso di memoria e impegno che parte dall’impegno di gruppi e coordinamenti a lui intitolati. Un percorso volto a non far morire la memoria di persone coraggiose, che hanno pagato con la loro vita l’ardire di ribellarsi a sistemi sbagliati, lesivi della dignità umana. Uno di questi coraggiosi è stato Hyso.