“Noi giornalisti non abbiamo fatto il possibile per impedire al veleno tossico del razzismo di penetrare nella società prendendo il sopravvento ”.Lo ha detto Roberto Natale, Presidente di FNSI (Federazione Nazionale Stampa Italiana), durante il suo intervento al convegno MEDIAMente diversi. Giornalismo e immigrazione in Italia e in Europa. Durante i due giorni del convegno, organizzato da ANSI (Associazione Nazionale Stampa Interculturale) e UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) a Roma, si è parlato del ruolo dei media e dei giornalisti in una società come quella italiana, sempre più multietnica e alle prese con fenomeni razzisti in crescita. La conferenza si è tenuta al termine della Settimana europea di Azione Contro il Razzismo, in partenariato con Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri e con il patrocinio di Ordine dei Giornalisti, Segretariato Sociale Rai e Federazione Nazionale Stampa Italiana. Il Presidente dell’ANSI, Viorica Nechifor, ringraziando i colleghi presenti, ha posto l’accento sulla necessità di lavorare fianco a fianco con i giornalisti italiani nell’ affrontare temi importanti come l’immagine dell’immigrazione fornita dai media, l’ attuazione della Carta di Roma, la formazione dei nuovi giornalisti aperti alla diversità e la terminologia del giornalismo interculturale. Di fronte alla vera e propria esplosione di siti web di stampo fortemente razzista, inoltre, l’invito della FNSI e del Ministro dell’Integrazione è quello di segnalare immediatamente queste pagine alle autorità. In questa lunga battaglia culturale, però, anche la terminologia usata ha un peso importante, come ha sottolineato nel suo intervento Laura Boldrini (portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati). La relatrice si è infatti soffermata, in particolare, sull’uso di un linguaggio da lei definito “terroristico”, per il quale cita a esempio il termine “clandestino”, che ritiene essere “una parola malefica scelta politicamente per isolare, condannare. Si tratta dunque di una lunga battaglia culturale da combattere su un fronte più ampio, un richiamo alla società intera “che, se continua così, diventa autistica e arretrata nel futuro”. Raffaella Cosentino e Gabriella Guido, della campagna LasciateCIE entrare, hanno evidenziato come questa iniziativa ha chiesto e ottenuto l’abolizione della circolare Maroni per la quale, dall’aprile 2011, ai giornalisti era impedito l’accesso ai Centri di identificazione ed espulsione: come ha ricordato Cosentino, infatti, era impossibile fare un’intervista senza la presenza delle forze dell’ordine e di conseguenza impossibile raccogliere presso i CIE fatti e storie raccontate in modo spontaneo e non influenzato. La prima giornata si è conclusa con l’intervista di Ismail Ademi (ANSI) e Igiaba Scego (scrittrice e giornalista) a Vladimiro Polchi (La Repubblica), da cui sono emersi interessanti spunti di riflessione. Dall’atteggiamento di chiusura del mondo del giornalismo al “divario tra i giornalisti illuminati e chi con un’unica notizia di cronaca rovina tutto il lavoro fatto” al problema della chiusura di “Metropoli” dovuta a costi insostenibili e altre condizioni oggettive e soggettive, Polchi ha spaziato su molti temi. Egli ha ribadito soprattutto la necessità di investire su scuole di giornalismo, formazione ad hoc e nuovi giornalisti in grado di gestire quanto meglio la tematica migratoria nella sua globalità. Sulla vecchia scuola a cui molti redattori appartengono, infatti, secondo lui “non c’è più niente da fare “. Il secondo giorno ci si è invece concentrati sull’Associazione Carta di Roma. Gli ospiti, raccontando la nascita di questa esperienza, hanno anche discusso della sua collocazione nel panorama europeo; si tratta infatti di una pietra miliare per il mondo giornalistico che si occupa di immigrazione nelle sue molteplici forme. Roberto Natale (Presidente della FNSI) si è interrogato sul ruolo dei giornalisti in un periodo in cui razzismo e xenofobia sembrano ormai farla da padroni, sostenendo con un onesto mea culpa che “noi giornalisti non abbiamo fatto il possibile per impedire al veleno tossico del razzismo di penetrare nella società prendendo il sopravvento”. La Carta di Roma rappresenterebbe così un prezioso strumento di formazione proprio per i giornalisti, che si vedono -e anche dall’esterno sono spesso visti- alquanto carenti in tal senso. Il dovere di impedire l’avanzamento e, a maggior ragione, l’esaltazione di ulteriori veleni razzisti è una necessità sentita anche da Enrico Paissan (Vice presidente FNSI), il quale ha insistito sull’imperativo che i giornalisti hanno di farsi “carico di una battaglia culturale di lungo respiro”. Analogo, come è facile immaginare, il pensiero di Laura Boldrini, portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati nonché promotrice in prima persona della creazione della Carta di Roma a seguito della strage di Erba del 2006 e della caccia all’uomo -straniero, nello specifico il tunisino Azouz Marzouk, parente delle vittime poi rivelatosi del tutto estraneo alla vicenda- scatenatasi subito dopo gli omicidi. Nell’incontro, poi, si sono sentite anche le voci dei partecipanti da organismi europei di giornalismo, come quelle di Stephen Pears (European Federation of Journalists) e di Pierre Duret (European Broadcasting Union). Il convegno si è chiuso con l’intervento di Thierry Guilbert (Institut Pratique du Journalisme di Parigi) e Sheila Mysorekar (Neue deutsche Medienmacher), che si sono confrontati con Marino Sinibaldi (direttore di Radio3 RAI) e Paula Baudet Vivanco (ANSI) sulle possibili azioni positive da attuare contro la discriminazione in ambito mediatico, e le conclusioni del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Elsa Fornero.