Tirana, Albania, anni ’80.
Una volta “rubati” dalla cucina di casa mia cinque o sei “japrakë” dal pentolone in cui la mamma aveva preparato il pranzo di quel giorno, mi incamminai verso la casa della nonna. Ci tenevo a portare e condividere anche con lei qualcosa di buono ed appena preparato dalla mamma, in quanto sapevo tra l’altro che i “japrakë” alla nonna piacevano tanto. Si trattava di involtini di foglie di vite, dal sapore tipico amarognolo con un ripieno di riso e spezie.
La nonna viveva da sola in una casa non molto lontano dalla nostra.
Salii le scale di corsa con i japrakë in una busta e appena vidi la nonna, tutta contenta le dissi: “ Guarda un po’ cosa ti ho portato, la tua specialità preferita, assaggiali subito, vedrai che ti piaceranno molto! “
La nonna, intenerita da questo mio gesto affettuoso, il cui effetto veniva moltiplicato dalla mia età -ai tempi avevo meno di dieci anni, credo- senza volermi offendere e con molta delicatezza, mi disse: “Lasciali pure in cucina tesoro mio, ma tu sai che la nonna non li può assaggiare proprio adesso, anche se ci tengo a farti contenta e ripagarti per questo tuo bel gesto?”
“Ma come nonna, non ti senti bene, non hai fame, o i japrakë non ti piacciono più ormai? “– fu la mia reazione.
“ Ma certo che mi piacciono mia cara,- mi rispose lei sempre con molto affetto, ma forse tu non ricordi bene quella mia usanza, della quale ti ho pure parlato. Quella mia credenza che porto sempre dentro di me da una vita, in nome della quale, trovandomi in questo determinato mese, in questo momento di preciso, non posso mangiare.”
Dunque, una delle mie due nonne era musulmana e ricorreva il mese di Ramadan, il mese in cui fu rivelato il Corano. Lei era nel periodo del Digiuno Sacro. Nel mese della preghiera e dell’elemosina. Anche se, devo ammettere, io mi preoccupavo un po’ dell’effetto di questa pratica sulla sua salute, ma lei se ne infischiava anche dei problemi di salute in quei giorni.
“Non sono solo i tuoi japrakë che non mangio, ma sai che non posso proprio mangiare niente adesso. Ed un’altra cosa: tu sai che grande fumatrice sono e quanto mi costa anche il dover smettere di fumare in questi giorni, ma lo faccio volentieri, con la speranza di purificarmi, di sentirmi bene ora e nel futuro. Non posso mangiare ora, ma al calar del sole, sì..”
Dall’entusiasmo e dalla fretta mi era sfuggito questo particolare, non solo perché ero scappata per la smania di arrivare al più presto dalla nonna senza avvertire la mamma, ma anche perché ricordavo che questa ricorrenza, la volta precedente, era avvenuta in un altro periodo,con una differenza di almeno una decina di giorni… Certo, avrei dovuto sapere che le date del Ramadan e, di conseguenza, del Digiuno, non coincidevano da un anno all’altro e che la nuova Luna, in questo, aveva un ruolo fondamentale.
Ebbene, da quell’età in poi pressappoco, iniziai a chiarirmi meglio la situazione in quanto all’intreccio in famiglia di credenze e usanze. Situazione in cui, per una bambina che conviveva in casa con familiari di due religioni diverse, quella cristiana e quella musulmana, era comprensibile qualche piccolo disguido.
La nostra -e non solo quella della nostra famiglia, ma anche di tante altre famiglie albanesi- era sempre stata una convivenza pacifica tra religioni. C’era rispetto per la fede di ognuno, per i riti e la tradizione rispettivi, nonostante la fede non si praticasse apertamente e non si frequentassero i luoghi di culto, ma la fede, dentro l’anima di ognuno, veniva custodita in silenzio e con la dovuta dedizione, condividendo gli uni con gli altri la gioia per le proprie credenze, anche senza necessariamente fare riferimento al loro contenuto.
“Va bene nonna, le dissi, – i japrakë che ti ho portato mangiali appena puoi. Allora, Buon Ramadan!”, “Gëzuar Bajramin” – e mi avviai verso casa…
Là, trovai i miei che stavano ancora finendo di pranzare.