Il presente studio, “Un viaggio lungo una vita: l’Albania di Edith Durham, pioniera dell’etnografia di terreno ai primi del XX secolo”, fa parte del progetto di ricerca « L’image de l’Albanie à partir des récits de voyage des XIXe et XXe siècles, notamment à travers les œuvres d’Edith Durham ( High Albania, 1909), Alexandre Degrand (Souvenirs de la Haute Albanie, 1901), Ugo Ojetti (L’Albania, 1902) » in corso di svolgimento presso l’Università di Nizza Sophia Antipolis (Francia).
Il testo, pubblicato in esclusiva per AlbaniaNews, traduce e integra la relazione “Un voyage qui dure toute une vie: l’Albanie d’Edith Durham, pionnière de l’ethnologie de terrain au début du XXe siècle” presentata il 3 dicembre 2011 a Bruxelles nel convegno “Voyages d’antan en terres albanaises”.Le citazioni dalle opere di Edith Durham riportate nel testo sono tradotte per la prima volta in lingua italiana. Le prime tre parti sono state pubblicate il 4, l’11 e 18 febbraio. L’ultima sarà pubblicata sabato 3 marzo.
Parte IV: Archivio sonoro: le prime incisioni di canti popolari dell’Alta Albania nella British Library (1905)
Il suo primo libro, Through the Lands of the Serb (“Attraverso le terre dei Serbi”), fu pubblicato nel 1904. Molto meno noto di High Albania, non è ancora stato fatto oggetto di studi specifici. In verità, è l’intera opera di Edith Durham, così come la specificità dei suoi strumenti di lavoro, documentari e materiali, a essere stata finora poco conosciuta e non adeguatamente valorizzata come merita, né all’estero né, bisogna dirlo, nella stessa Albania.
Fra gli obiettivi della presente ricerca, c’è appunto l’individuazione dei tratti caratteristici della metodologia applicata da Durham nei suoi studi albanologici che, a nostro avviso, ne fanno una pioniera nel campo dell’etnologia di terreno, la disciplina che cominciava a diffondersi ai primi del Novecento, e che stava dando i frutti più interessanti proprio fra gli studiosi di area anglosassone.
Per dare un’idea di quanto il suo lavoro sia stato finora sottovalutato, se non del tutto trascurato, cominciamo da quello che ci sembra uno dei risultati più sorprendenti di questa nostra ricerca, e che riguarda le incisioni sonore di canti popolari dell’Alta Albania, registrati da Edith Durham nel 1905.
Una testimonianza quanto mai preziosa, soprattutto per un Paese le cui straordinarie tradizioni musicali sono state riconosciute Patrimonio Mondiale dell’Umanità da parte dell’UNESCO. Eppure, quanti sanno che le più antiche registrazioni di canti popolari albanesi (anno 1905) furono effettuate da Edith Durham e sono depositate nell’archivio della British Library, dove possono essere ascoltate ancora oggi, a distanza di oltre un secolo?
È un fatto sorprendentemente ignorato a partire dagli stessi studi albanologici, nei quali finora non ne abbiamo trovato traccia ( a questo proposito, sarebbe gradito, anzi auspicabile, essere contraddetti, e si ringrazia in anticipo chi in questa occasione vorrà supplire alla nostra eventuale mancanza di informazione). Al momento, l’unica citazione in proposito compare in un numero del British Journal of Ethnomusicology 1) in cui si dà una panoramica di tutta la collezione dei record musicali etnografici conservati appunto nella Biblioteca Nazionale inglese.
Grazie al lavoro svolto da Edith Durham, che percorreva le montagne fra Albania e Montenegro portando con sé un pesante fonografo su cui, su appositi cilindri cerati (gli antenati dei dischi in vinile) registrava canti tradizionali, assolo vocali e accompagnamenti di lahuta, quelle registrazioni ora fanno parte della raccolta mondiale degli antichi canti e musiche popolari, accanto alle non moltissime altre testimonianze raccolte in quegli stessi anni fra Australia, Africa e Asia da etnografi e antropologi del calibro di Bronislaw Malinowski, Alfred Cort Haddon e Arnold Bake.
La collezione Durham consiste in 25 incisioni, realizzate fra Nord Albania e Montenegro, a cui con tutta probabilità vanno aggiunte le altre 9, incise in Bosnia, e catalogate in archivio sotto la dicitura “probabilmente registrate da Edith Durham fra il 1906 e il 1909”. Nell’introduzione al catalogo della British Library si legge (ne riportiamo direttamente la traduzione): “Molte delle registrazioni sui cilindri cerati sono di notevole importanza storica.
Per esempio, esse includono quelle che sono probabilmente le prime registrazioni fatte nell’Africa Sub sahariana (da Sir Harry Johnston in Uganda in 1901, C107) e la prima musica aborigena australiana (da Baldwin Spencer e Francis Gillen nello stesso anno, C6). […] La collezione abbonda di materiale affascinante […] e comprende numerose interessanti collezioni minori, come per esempio quella portata nel 1905 dall’Albania dalla viaggiatrice, diventata antropologa, Edith Durham.”2)
Soffermiamoci un attimo sulla frase appena citata: “viaggiatrice, diventata antropologa”. Molto spesso, le ricerche svolte da Edith Durham nell’ambito della cultura albanese (cominciate nel 1900 e continuate ininterrottamente per oltre 40 anni, vale a dire per tutto il resto della sua vita) sono state frettolosamente liquidate – proprio perché non adeguatamente studiate e conosciute – come esperienze estemporanee di una viaggiatrice in cerca di nuove emozioni, che nei Balcani avrebbe trovato un senso alla propria esistenza.
Ora, va detto che se è innegabile – ed è la stessa Durham a dichiararlo in più occasioni – che le motivazioni che la portarono sulle sponde orientali dell’Adriatico erano legate a specifiche contingenze esistenziali, è altrettanto vero – e le testimonianze materiali e documentarie sono lì a dimostrarlo – che a partire da quel primo viaggio, che avrebbe potuto restare un’esperienza isolata, Edith Durham cominciò a mettere in pratica metodi di ricerca tipicamente etnografici e antropologici.
Non è questa la sede per indicare le specificità del suo metodo di osservazione, in cui si possono individuare le impronte del relativismo culturale e dell’etnografia comparativa, le nuove frontiere dell’etnologia del primo Novecento, che facevano capo ad antropologi ed etnologi come Franz Boas ed Elie Reclus, le cui ricerche avevano vasta eco proprio nell’Inghilterra di quegli anni.
Qui ci limitiamo a richiamare l’attenzione, oltre che sulla documentazione sonora conservata nella British Library, sulle numerose testimonianze di “cultura materiale” da lei raccolte e donate a vari musei inglesi, di cui vedremo fra poco. Ma soffermiamoci sul momento esatto in cui Durham prese consapevolezza della natura delle sue ricerche. Avvenne in seguito al commento fatto da uno sconosciuto interlocutore, incontrato per caso.
L’episodio risale al suo secondo viaggio nei Balcani, quando ancora non era entrata in Albania. Come le capitava spesso, aveva attirato l’attenzione degli abitanti del luogo, stupiti nel vedere una signora inglese che viaggiava tutta sola in territori pochissimo esplorati dagli stranieri. Le facevano domande di ogni genere, sulla sua provenienza, sulla sua famiglia, e sullo scopo del suo viaggio.
E lei rispondeva sempre di buon grado, dicendo che voleva semplicemente prendere nota dei luoghi, di costumi e tradizioni degli abitanti, del loro modo di vivere, eccetera. “‘In breve – osservò un signore – lei sta facendo studi geo-etnografici.’ La cosa mi colpì come un’idea straordinariamente luminosa. Non ci sarei mai arrivata da sola. Risposi di sì, e tutti furono molto contenti.” 3)Il 18 Febbraio è stato pubblicato la terza parte dal titolo Da Cettigne a Scutari . La quinta e ultima sarà pubblicata sabato 3 marzo
- Martin Clayton, “Ethnographic wax cylinders at the British Library National Sound Archive. A brief history and description of the collection”, in British Journal of Ethnomusicology, vol. 5, n. 1, 1996, pp. 67 – 92
- The British Library Sound Archive. World and traditional music: wax cylinder collections
- Mary Edith DURHAM, Through the Lands of the Serb, London, Edward Arnold, 1904, p. 186 (trad. personale)
Lo Studio completo dal titolo “Un viaggio lungo una vita: l’Albania di Edith Durham, pioniera dell’etnografia di terreno ai primi del XX secolo”