Tirana, inizi degli anni ’80. Frequentavo la scuola elementare.
La mattinata nel cortile della scuola era molto gradevole.
Rispettando rigorosamente gli orari di entrata, il nostro raduno e l’incolonnamento in file perfette, il silenzio e l’ordine -così come la disciplina della scuola e quella del tempo che correva imponevano- ad ogni modo eravamo felici, perché in cortile potevamo vederci con tutti i nostri amici, sia quelli della nostra classe che quelli delle altre classi, più piccoli o più grandi di noi.
Una volta eseguite le dovute disposizioni e l’incolonnamento in file, la fila stessa veniva riempita tutt’a un tratto da 4-5 bambini che arrivavano contemporaneamente, dopo aver percorso un altro pezzo di strada, in un’altra fila, vestiti tutti uguali senza alcuna differenza, accompagnati sempre dallo stesso tutor: arrivavano dall’orfanotrofio della nostra città, dalla “Casa del Bambino”!
Già dalla prima elementare, mi sono ritrovata ad avere una di queste bambine come compagna di banco. Me la ricordo come se fosse ieri. Per quanto riguarda l’aspetto fisico, una bambina dai capelli neri e la pelle olivastra, rotonda, alta, anzi molto alta rispetto a me e a tutti gli altri, cosa che mi faceva pensare che avesse qualche anno in più di noi… comunque questo aveva poca importanza..
Cercai, un po’ per la mia natura molto comunicativa già da quell’età, un po’ perché la trovavo molto taciturna, di strapparle due parole o un sorriso, per poter iniziare una conversazione e perché no, fare amicizia. Ma lei, di poche parole, molto chiusa in se stessa, sempre col broncio… Intendiamoci, non perché avesse qualcosa di personale nei miei confronti, ma perché era fatta così, così forse erano amalgamati il suo carattere e il suo temperamento.
Aveva anche un’altra particolarità. Nel mezzo dell’ora di lezione, ogni giorno, regolarmente, si immergeva in un sonno profondo. Ogni tanto le davo qualche gomitata per svegliarla, le parlavo a bassa voce per non farci scoprire dalla maestra (che io pensavo non avesse notato niente, invece sapeva tutto…), ma senza avere nessuna risposta e nessuna reazione da parte sua.
Più avanti, quando la nostra comunicazione avrebbe avuto inizio, mi avrebbe confidato il motivo di questo sonno profondo a scuola: tutta la notte – e questo ogni notte- piangeva senza sosta per la sua mamma! Non riusciva a chiudere occhio, pensando alla mamma che non aveva mai potuto conoscere!
Durante la ricreazione tutti noi bambini ci univamo per consumare insieme la nostra merenda portata da casa. Era semplice e genuina, un pezzo di pane condito con poche varianti: burro e marmellata, formaggio e pomodoro, raramente con un po’ di salumi.
Avevo una cartella di pelle rossa con due tasche grandi e quando facevo per tirare fuori dalla tasca ciò che la mia mamma mi aveva preparato da casa da consumare a scuola, stranamente, quella tasca la trovavo vuota!.. E questo non una volta, due, ma di continuo… Fu una sorpresa di cattivo gusto per me quando vidi con i miei occhi chi era l’autrice di questo ‘furto’: era la mia compagna di banco! A dire il vero, lei era l’unica ad avere questo brutto vizio in classe.
Ed allo stesso tempo potrei dire che avevamo l’impressione che in quella casa trattavano molto bene i bambini, non facendo loro mancare nulla. Anche perché, secondo la demagogia del sistema, erano accuditi da una Grande Madre, dalla ‘madre’, associata all’unico partito al potere!
Un giorno mia madre andò a scuola a parlare con la maestra. Che cosa si dissero, io questo, allora non lo potevo sapere né tantomeno capire, ma so che dall’indomani mia madre mi metteva in cartella non più una porzione di pane, bensì due. In questo modo, offrivo di mia volontà la merenda alla mia compagna di banco, la invitavo a venire a mangiare con tutto il gruppo della classe per strapparla dalla solitudine in cui si rifugiava di solito. Stavamo assistendo, pian piano, ai suoi – anche se con aria un po’ diffidente – primi sorrisi..
Agiva in questo modo non per fame, ma per attirare l’attenzione su di sé, per godere della nostra attenzione… Il suo, anche se in modo sbagliato, era stato un grido d’aiuto.
Non potevo sapere all’epoca che quella bambina sarebbe diventata in seguito una delle mie migliori amiche.
Non vedevo l’ora che arrivasse la domenica. In fretta mi vestivo e mi preparavo per andare insieme a mia madre nella Casa del Bambino. Me lo ricordo come se fosse ieri quel momento: suonavamo il campanello, alla porta usciva sempre lo stesso tutor gentile e puntuale, che ci accordava il permesso di far venire con noi a casa la mia compagna di banco per poter pranzare con noi e passare insieme in compagnia il pomeriggio.
Nei suoi occhi notavo gioia, anche se conservava la sua natura taciturna e riservata… ma si vedeva che era contenta. Aveva fiducia nelle persone che la stavano accogliendo, perché forse percepiva tranquillità, un senso di rassicurazione, di sincerità, di calore umano e di coinvolgimento da parte nostra nel suo dolore.
Per molte domeniche, lei era diventata parte della nostra famiglia, ai pranzi che di solito consumavamo in compagnia dei miei nonni, degli zii o di qualche altro parente o amico. Più avanti, però, ciò non mi bastava più: andavo la domenica con i miei nella Casa del Bambino, per chiamare e invitare a casa non solo la mia amica, ma anche delle altre ragazze, che quando il tutor chiamava un solo nome si giravano tutte e ci accompagnavano con lo sguardo, per tutto il corridoio lungo, fino all’uscita.
Erano delle domeniche molto belle, indimenticabili per l’emozione che davano a noi tutti; con il mio carattere aperto e con tutte le compagnie che non mi mancavano sia dentro che fuori dalla scuola, tuttavia, queste erano speciali per l’intensità delle particolari sensazioni positive che percepivo.
Non so cosa sia stato più avanti di questa bambina. Ci separammo alla fine delle elementari, perché la nostra era una scuola che comprendeva soltanto il ciclo elementare e gli anni passavano… noi crescevamo e dovemmo alla fine passare alle medie.
Mi basterebbe sapere che lei ora sta bene, che si sente realizzata, tranquilla, che ha avuto la possibilità di realizzarsi in ciò che le è sempre mancato, la famiglia! Che è una madre felice per i suoi figli, così come lo sono anch’io.