Quali sono i punti principali del programma con il quale si candida al Parlamento Europeo?
Il mio programma è incentrato sui temi dell’occupazione e dei diritti, intesi come opportunità per tutti. Propongo un pacchetto di proposte che servirà anche a rilanciare l’economia e i consumi: salario minimo garantito, cioè uno stipendio base sotto il quale non sarà consentito scendere; stessi diritti ed opportunità sul lavoro per uomini e donne; più fondi europei contro la disoccupazione giovanile; un nuovo modello di welfare che metta le persone in condizione di lavorare, produrre reddito e uscire da protagonisti dalla propria condizione di bisogno.
Ha dei rimpianti sulla sua esperienza al Ministero per l’Integrazione?
Prima di tutto bisogna riconoscere che la decisione di istituire il ministero dell’Integrazione dal Premier Letta è stata una scelta lungimirante. Ha spostato l’attenzione dalle politiche legate alla sicurezza a quello che può essere il futuro, orientato verso l’integrazione. Ci fa capire che il flusso migratorio non è transitorio e temporaneo, è stabile e come tale va guardato. Se riconosciamo questo, allora dobbiamo parlare di integrazione e di territorio. Non è più una politica emergenziale, nata da un’ottica di sicurezza. Proprio per questo fu una scelta geniale. Oltre ad aver scelto una persona nata in un altro Paese e diventata una cittadina italiana, il ministero era una fotografia dell’Italia cambiata, per mostrare tutte le sfaccettature della nostra società: i nuovi cittadini e i vecchi che vivono in un unico disegno, quello di una cittadinanza più coesa. Questo mi ha spinto a condividere la scelta e mi ci sono buttata pienamente.
Rimpianti non ne ho, anche se è necessario uscire da questa eterna campagna elettorale. Essere al governo vuol dire avere la possibilità di cominciare un lavoro e portarlo a termine. Io ho pianificato il mio lavoro come se dovesse durare 5 anni; ho cercato di portare l’integrazione nel dibattito pubblico, senza pensare alla rielezione. Anche se non siamo arrivati alla riforma integrale delle norme sull’immigrazione nell’ottica dell’integrazione, adesso, però, sono stati fatti passi in avanti e finalmente di integrazione si parla, si ha più consapevolezza della questione all’interno della società italiana. Anche chi non è d’accordo affronta e discute il problema. Oggi ci stiamo avviando verso una riforma organica, perché indietro non si può più tornare.
Cosa rivendica nella sua esperienza di Governo?
In questi mesi di lavoro, sono riuscita a ottenere alcune importanti semplificazioni burocratiche nella procedura di richiesta della cittadinanza italiana e mi sono battuta per il diritto allo studio, inserendo nel decreto scuola una norma che rende il permesso di soggiorno degli studenti valido per tutta la durata della formazione, eliminando l’obbligo di rinnovo ogni anno. Accanto all’abrogazione del reato di clandestinità, ho ottenuto che nel decreto carcere entrasse una norma che potenzia il percorso di integrazione degli ex detenuti e il ricorso alle misure alternative. Mi sono impegnata sul testo del decreto sul femminicidio per estendere la possibilità di ottenere permessi di soggiorno umanitari anche alle donne vittime di violenza domestica. Ho presentato un disegno di legge per abrogare o modificare tutte le norme discriminatorie del nostro ordinamento. Nell’ambito della delega per le Politiche giovanili e il Servizio civile ho promosso attivamente la mobilità dei giovani, di tutti i giovani anche se non ancora cittadini italiani, a livello europeo.
Cosa condivide e cosa invece cambierebbe delle politiche europee attuali in tema di immigrazione?
Da sola l’Italia, come del resto Grecia, Malta e Spagna, non ce la può fare. L’Europa riconosca le frontiere del Sud come soglia di accesso dell’Unione. Da questa concezione cambierà il modo di gestire la politica dell’asilo. L’Italia così non sarà più lasciata sola a fronteggiare il problema, ma si metterà in moto una forte cooperazione internazionale. L’Italia il primo luglio 2014 eredita dalla Grecia il testimone della presidenza del Consiglio Ue e sarà l’occasione giusta per presentare una riforma che preveda punti precisi. Secondo gli accordi di Dublino II sottoscritti nel 2003 in materia riconoscimento dello status di rifugiato, lo Stato membro competente all’esame della domanda d’asilo è quello in cui il richiedente ha messo piede per la prima volta nell’Ue. Cioè molto spesso l’Italia, meta di sbarchi nel Sud dell’Europa. Servono accordi diversi per non lasciare soli i paesi del Sud Europa. All’operazione Mare Nostrum – che nei primi sei mesi ha soccorso oltre 20 mila persone – manca ancora la fase 2. Quella che prevede una dimensione europea. Mare Nostrum ha fatto capire il significato della vita umana, salvando tantissime persone in mare. E portando all’arresto degli scafisti: più di 200 trafficanti di esseri umani bloccati. Ma il progetto è a metà: il secondo passaggio deve essere andare in Europa per sollecitare una visione internazionale.
Nei primi 100 giorni di attività parlamentare in Europa quali sarebbero le sue priorità?
Una proposta per stabilire un salario minimo, sotto il quale non si possa scendere, per tutti i lavoratori italiani ed europei. La lotta serrata al gender pay gap, cioè la differenza salariale tra uomini e donne, l’applicazione e l’ampliamento di tutte le politiche europee di lotta alla discriminazione, di ogni tipo. Una proposta integrata a livello europeo sulla gestione dei flussi migratori e del diritto di asilo. Portare da 6 a 20 miliardi di euro il fondo Garanzia giovani che contribuisce a creare nuove opportunità di lavoro per i nostri ragazzi. E poi continuerò a battermi perché l’Italia adotti lo ius soli temperato: tutti i bambini nati in Italia e che qui risiedono dalla nascita diventano cittadini italiani dal primo giorno di scuola.
La ricetta per uscire dalla crisi è l’austerità o un’Europa sociale?
Da quando è scoppiata la crisi, in molti paesi soprattutto del sud Europa, i più colpiti, monta sempre di più una critica feroce contro le politiche di austerity. Sono politiche da superare. L’Europa che sogna il Pd è il rilancio di quell’Europa che tante opportunità ha offerto ai giovani, con programmi come l’Erasmus, con l’abolizione delle frontiere, con la nascita di una grande comunità di Stati, che sempre più deve essere un’Europa delle persone, vicina ai suoi cittadini. Un’Europa sociale, con un welfare efficiente, a sostegno delle capacità e dei bisogni dei cittadini.