Dopo la sua partecipazione all’iniziativa “Liber@mente: Fiabe sul filo della rete”, incontrando i ragazzi delle scuole medie genovesi impegnati nel progetto interculturale con gli istituti albanesi di Berat e Pogradec, l’incontro con gli studenti della facoltà di medicina di Genova, nell’ambito della rassegna “Aspettando il Suq” dove ha trattato una delle tematiche più care a lei: “Donne, maternità e diritti”; la partecipazione in “Che tempo che fa” di Fabio Fazio, il più noto talk show italiano di Rai Tre; il tour de force italiano della scrittrice di origine albanese Elvira Dones, è continuato con la sua presenza nel Salone Internazionale del Libro a Torino, luogo dove Sonila Alushi ha potuto incontrarla e intervistarla per Albania News.
Arriva al nostro appuntamento raggiante e sorridente nonostante la stanchezza! Un incontro programmato da tempo il nostro, al quale arrivo emozionatissima, ma lei, una donna semplice dai modi eleganti, gentili, premurosi da tipica signora e mamma albanese, mi mette al mio agio entro pochi minuti.
Parla come scrive Elvira: il suo linguaggio è ricco, ma nello stesso tempo anche semplice che arriva alla coscienza delle persone in modo diretto, senza camuffamenti. Colpisce il suo coraggio di dire e lottare per quello che crede senza timore di far scoprire le sue idee, senza timori di farsi scoprire per la donna che è! Colpisce la sua umiltà nelle gesta, nelle espressioni e nelle attenzioni che ti rivolge ,rifiutando ogni tentativo dei suoi lettori, me compresa, di farla salire sul piedistallo della scrittrice ammirata! Colpisce questa sua tipica semplicità e la pazienza con la quale ha risposto alle mie numerose domande!
Lei è madre, moglie, scrittrice, giornalista e sceneggiatrice! Come fa a coordinare tutti questi ruoli con tutti gli impegni che detengono?
Possiamo aggiungere anche troppo stanca! Sinceramente non lo so! Non è che uno pensa già dall’inizio se ce la fa o meno. Cominci poco a poco per poi fare rientrare tutto nella quotidianità. Una cosa è certa: ho sempre saputo che avrei fatto la mamma e sono una tipica mamma albanese, una mamma dei Balcani, proprio una chioccia. Dunque, questo ruolo non l’ho mai messo in dubbio già dall’ inizio, ossia, da quando è nato il mio primogenito Antony ed io avevo solo 19 anni. Siamo cresciuti insieme io e mio primo figlio perché in un certo senso, ero in fasce anch’io!
Penso che il desiderio, la passione di quello che fai è talmente grande che poi ti aiuta nell’ imparare man mano, poco a poco a gestire tutto. E poi non dimentichiamoci che siamo donne albanesi: nessuno ci ha mai regalato niente, nessuno ci ha mai fatto i mestieri di casa, nessuno ci ha viziate. Siamo mamme albanesi come le nostre mamme albanesi che ci hanno insegnato sin da piccole a lavorare duro. In fondo noi non abbiamo vissuto una vera infanzia. Noi non siamo state bambine, noi siamo state piccole donne e questo lo sappiamo benissimo tutte. Ho realizzato tardi questo fatto, solo quando in Svizzera ho visto le mie amiche, le mie colleghe che, anche se facevano di meno, erano comunque più stanche di me. Invece io reggevo, reggevo su tutto e pure senza lamentele. Pertanto, oltre alla passione, penso che proprio l’ abanesità mi ha aiutato moltissimo.
Ecco, mi ha aiutato mia mamma che, iniziando a insegnarmi già a sette anni di come si gestisce una casa, ha fatto sì che io non sappia cosa significhi annegare in un bicchiere d’acqua. Detto questo, dico anche che è stata dura, sì, molto dura. Adesso un pò meno dato che i mie figli sono cresciuti e sono autonomi. Ora ho più tempo per le mie professioni che richiedono comunque tantissimo lavoro e tanta disciplina. Io non posso permettermi mai il disordine. Non accumulo mai lavoro perché non posso farlo. Sarebbe un lusso per me poter trascurare qualcosa ed è un lusso che non mi posso mai permettere.
Oltre a ciò, amo anche cucinare perché per me cucinare è un relax ma è anche e sopratutto, dare amore. Ritengo molto importante mettere i miei cari intorno ad un tavolo. Devo dire anche che mio marito Vasco mi aiuta tantissimo.
Qual’è la cucina che preferisce, che utilizza di più? Quella nostrana mediterranea, o quella americana?
Io cucino albanese, all’italiana e mi piace molto anche la cucina francese e del nord Africa la quale mi permette di sbizzarrirmi moltissimo. Di americano, ho provato solo la nouvelle cuisine della California.
La nostra casa negli USA, è come un piccolo porto di mare dove tantissimi amici si fermano a mangiare le nostre albanesi qofte (polpette), il tarator (salsa di yogurt e cetrioli), il byrek (sfoglie di pasta con ripieno di vedure o altro) e molti altri piatti. Tanti colleghi e amici si auto invitano anche per la mia cucina italiana che ama tantissimo anche la mia famiglia. Devo dire che mi piace molto anche la cucina indiana. Insomma, adoro cucinare.
Dopo sette libri in albanese, Elvira decide di scrivere in italiano. C’è stato un motivo particolare che l’ha guidata verso questa decisione?
È venuto naturale dato che ho vissuto 16 anni e mezzo nella Svizzera italiana. Tanti testi giornalistici li avevo già scritti in italiano, ed alla traduzione dall’albanese all’italiano di un paio dei miei libri, ho dovuto mettere mano pesantemente. Un altro lo avevo tradotto io stessa, e quindi alla fine mi sono detta tanto vale scrivere direttamente in italiano. Anche gli editori mi hanno consigliato lo stesso. Così mi avvicinai alla letteratura in italiano, alla scrittura in italiano molto naturalmente, ma anche con il grande timore di farle un qualche torto, visto che amavo e amo moltissimo questa lingua. Essendo poi la scrittura, la mia unica religione, non è stato uno scherzo scrivere un romanzo in italiano direttamente. C’è da dire anche che per “Vergine Giurata”, l’ inizio, le prime frasi del romanzo vennero in italiano, quindi cominciò in italiano senza neanche accorgermene e per cui proseguì così.
Molto spesso, attraverso i suoi libri, i suoi articoli e molte interviste, tutti noi abbiamo avvertito la forte sensibilità che lei esprime riguardo all’argomento “donne, dolore, diritti ed emancipazione”. Sembra proprio che sia un suo punto debole. Molti accusano in lei un certo femminismo. Come si descriverebbe lei invece?
Sarebbe un onore essere femministe. Non dimentichiamoci che il femminismo in Europa, ha portato le donne ad avere i diritti dei quali godono le donne di oggi. La strada da fare verso la parità di diritti, anche per le donne occidentali, è ancora lunga e figuriamoci per noi donne del sud-est balcanico, del sud-est europeo. Scherziamo?! Io non mi sono mai considerata una femminista semplicemente perché non ho avuto modo di fare parte di un gruppo del movimento femminista, ma ho visto sempre con uno sguardo estremamente attento la condizione femminile sia in Albania, sia in altre parti del mondo dove io vado, lavoro e metto mano. Ma poi cosa significa essere accusate di femminismo?!
Sopratutto nelle nostre terre, ma ben vengano le donne che in maniera intelligente e non da trincea, chiedono e ottengono i loro diritti e il rispetto che loro spetta. Di certo non condivido e non mi piace affatto il femminismo troppo ideologico, quello che indica l’uomo come il genere cattivo, il genere da combattere cercando in questo modo di dividere il mondo in due gruppi. No, noi uomini e donne siamo complementari e non ci spareremo addosso. Abbiamo semplicemente bisogno dell’amore di l’un- l’altro. Da questo punto di partenza e solo da qui, bisogna iniziare a dialogare e costruire la parità.
Invece per il movimento femminista del ’68, la rabbia dell’inizio, la veemenza anche se espressa con toni un pò forti e forse esagerati, era utile ai tempi alle proteste femminili perché solo così hanno potuto fare sì che si sentisse la propria voce e guadagnare terreno. Oggi, abbiamo un altro tipo di femminismo che io chiamerei meglio “il movimento delle donne consapevoli”. Nelle nostre terre albanesi, kosovare e in tutti i Balcani, noi abbiamo assolutamente bisogno di donne intelligenti e consapevoli che aiutino le altre donne in maniera intelligente, attiva e con lungimiranza. perché il problema non è soltanto ottenere noi stesse, oggi, quella posizione di tutto rispetto e normale tanto ricercata e meritata, ma lasciare alle nostre figlie un Albania migliore per le donne, per tutti.
Io credo che in Albania oggi come oggi, non se stia facendo molto al riguardo e anche dalle donne stesse. Si dovrebbe alzare la voce molto di più e meglio e non festeggiare soltanto la festa del 8 Marzo che per carità, non credo che non si dovrebbe celebrare, ma credo anche che le donne si debbano organizzare più spesso per chiedere e ottenere i loro diritti nella nostra Albania che rimane ancora molto maschilista. Tra donne di diverse associazioni, tra studentesse universitarie sempre più consapevoli, tra donne albanesi della diaspora che siamo un infinità molto, molto in gamba, io ne sono convinta che si riesca a coordinare meglio e a fare di meglio, assolutamente.
Nella politica albanese, ci sono poche donne che ci rappresentano. Come si spiega questo fatto secondo lei?
È uno dei nostri problemi albanesi come in tutti i Balcani: le nostre terre sono sempre state maschiliste, maciste e dunque la donna è sempre stata molto poco rappresentata per non dire non rappresentata del tutto per molto, moltissimo tempo.
Quindi i primi tentativi degli ultimi anni, lasciano ancora molto da desiderare anche perché per quei pochissimi elementi donne che abbiamo nella politica albanese, c’è una grossa fetta di altre donne e sopratutto dalle campagne, che non sono per niente rappresentate. C’è ancora una lunghissima strada da fare verso la direzione della vera emancipazione. Questo forte maschilismo fa parte della nostra cultura, della vecchia tradizione che va debellata, cambiata modificata.
Quali di queste frasi preferisce, o sente più sua: “straniera ovunque” o ” a casa ovunque”?
Decisamente “a casa ovunque”. Ho un rapporto molto particolare con i paesi perché prima di tutto non ho un senso di appartenenza del tipo nazionalistico patriotico e quel che faccio lo faccio perché lo sento di fare e non provo il senso di dovere. I doveri vengono dopo perché è la passione, è l’amore che ti guida verso il dovere. Quindi mi ci trovo bene ovunque forse anche perché sono un pò zingara per natura. Non riesco a stare ferma. Necessito fortemente di conoscere e toccare con mano diverse culture, diverse lingue, espressioni, realtà e cerco di informarmi su tutto quello che riguarda il Paese dove momentaneamente risiedo: dalla sociologia, alla politica; dalla letteratura, al cinema, ecco io mangio pane e cinema in un certo senso.
Mi capita spesso di iniziare la giornata con un film ancora prima di aver fatto colazione!
Sì, a casa ovunque, ma questo non significa che ogni tanto non si hanno momenti di solitudine, ma questi chi non li ha e come si fa a non averli?! La solitudine fa parte di noi esseri umani ed io ho imparato sin da bambina ad apprezzarla e gestirla al meglio leggendo e scrivendo molto presto. Uno scrittore è spesso solo.
Quando ha cominciato a scrivere?
Sono sempre stata una bambina alquanto “strana”: ho deciso di scrivere quando avevo solo quattro anni e mezzo. Non sapevo ancora cosa significasse esattamente fare la scrittrice, ma sapevo che lo volevo fare e queste mie dichiarazioni sembravano folli tanto da far ridere gli adulti. A dieci anni, ho scritto il mio primo romanzo di poche pagine che chiamai “Romanzo” perché non riuscivo a trovare, non mi venne il titolo adatto. Il mio “Romanzo” aveva una copertina coloratissima e tutte le pagine erano numerate come nei romanzi veri.
Ovviamente conservo ancora molto gelosamente il mio primo romanzo intitolato “Romanzo”.
Oggi si parla molto di integrazione e chi regge con più fatica il fardello di questa complicata parola, siamo più noi, nuovi italiani di origine straniera. Cosa significa esattamente per lei la parola integrazione?
Io sono un filo restia a questa parola. Forse sono un pò insofferente al riguardo perché da albanese, ho dovuto mangiare polvere i primi anni, essere un numero nella lista della polizia Svizzera come tutti i migranti, non riuscivo a trovare il lavoro che desideravo fare, fin quando diventai una scrittrice, solo allora la musica cambiò. Quindi ho passato in prima persona tante difficoltà, ma non tutto quello che ha vissuto e vive tuttora gran parte della diaspora albanese sopratutto in Italia e Grecia la quale è stata, lo è tuttora assurda nelle sue scelte politiche riguardo all’immigrazione. Insomma, anche se mi è andata molto meglio, resto comunque ipersensibile alla parola integrazione. Per me integrazione, oggi, significa farsi assimillare totalmente ed è motivo per cui non amo questa parola. Io userei la parola convivenza, imparare a convivere, imparare a conoscersi a vicenda. La convivenza per me è la chiave di tutto.
Un’altra parola che mi sta stretta è tolleranza. Cosa significa “ti tollero”?! Questa parola include una specie di accondiscendenza. Dicendoti “ti tollero”, è come se ti stessi guardando dall’alto verso il basso, è come se ti stessi facendo un favore.
Sarà perché sono per natura molto entusiasta, ma io vedo un cambiamento in positivo per gli albanesi in Italia. I nostri connazionali si sono come sdoganati in un certo senso. C’è da dire e molto tristemente che di aiuto è stato anche il fatto che dopo di noi, l’Italia ha conosciuto molte altre migrazioni di etnie diverse dove la diffidenza e la paura si è un pò spostata.
Noi albanesi, con l’olio di gomito, mangiando polvere, abbassando la testa, abbiamo fatto vedere che non siamo un popolo di farabutti, ma tutt’altro e quelli che hanno fatto e fanno i farabutti, non ci rappresentano, anzi. In linee generali, poco a poco, con grande pazienza, abbiamo costruito qualcosa. Certo, il razzismo è duro a morire e credo che non morirà mai. La paura dell’altro, da che mondo è modo, conviverà con l’essere umano. Quindi non intendo descrivere un quadro della situazione in rosa e fiori, voglio solo vedere i passi positivi che si sono fatti in questi 10 anni di diaspora albanese.
Come vede il fatto che la diaspora albanese, non può votare nelle sedi dei suoi consolati e ambasciate per scegliere la politica amministrativa o governativa della propria nazione d’origine?
Solo due aggettivi voglio dire: scandaloso e inaccettabile. Questa situazione va cambiata e più in fretta possibile. È di una tristezza sconvolgente. Questo fatto lo considero di una irresponsabilità scandalosa verso il futuro di un piccolo Paese come il nostro dove la popolazione non supera i tre milioni e mezzo! Siamo più o meno un milione e mezzo noi albanesi che viviamo fuori dall’Albania e non renderci partecipi, è veramente senza senso e inaccettabile.
La sera del 14 Maggio, alla trasmissione “Che tempo che fa” su Rai Tre del giornalista e noto conduttore, Fabio Fazio, lei ha detto che la le guerre sono la conseguenza del fallimento dell’essere umano. Colpisce questa sua forte dichiarazione! Può dirci qualcosa di più al riguardo?
È una dichiarazione forte e per niente consolatoria, ma è la verità purtroppo. Evidente il fatto che il dialogo della pace, sta facendo acqua da tutte le parti. I meccanismi della diplomazia e della politica, non stanno riuscendo prima che la guerra cominci, a fermare l’orrore e fare sì che la ragionevolezza funzioni. Quindi, sì, stiamo fallendo anche se e vero che ci sono tantissimi movimenti per la pace in tutto il mondo. Ci sono sacche della pace in ogni società, in ogni Paese e ci sono anche Paesi che incoraggiano il dialogo prima che le bombe comincino a cadere, però a quanto pare, non è mai abbastanza! Coincidenza di non poco conto il fatto che l’uscita del mio nuovo libro Piccola guerra perfetta (Elvira Dones, Einaudi) che racconta la recentissima guerra in Kosovo, faccia pensare anche alla attuale guerra in Libia!
Il progetto più normale, più naturale dell’essere umano, avrebbe dovuto essere quello della pace, della convivenza su questa benedetta terra, ma così non lo è. La storia dell’umanità è fatta di guerra, una guerra che continua senza sosta!
“Piccola guerra perfetta”, il suo nuovo romanzo che racconta il dolore e la normalità della guerra perché l’umanità, nonostante tutto, ha reso normale anche la guerra! Qual’è l’antidoto alla guerra secondo lei?
La bellezza e la decenza. Quest’ultima parola mi permetto un attimo di spiegarla meglio anche se non sò se riesco a esprimere la forza che questa parola racchiude per esempio in inglese, che in questo caso è un filo diverso dall’italiano: decency in inglese quindi, ha a che fare con una maggiore forma di umiltà, di capacità di ascoltare e di assorbire il mondo senza aggressività.
Quando invece, parlo di bellezza, non parlo semplicemente di una bellezza estetica esteriore, ma parlo del comportamento umano, parlo della bellezza di sapere ascoltare l’altro, di sapere affrontare anche la guerra con la dignità delle donne come quelle Kosovare per esempio. Io ho tantissime amiche in Kosovo e vado a trovarle spesso a Prishtina. In quella città, ci lascio il cuore ogni volta che vado. Forse perché appunto, i 78 giorni di guerra, li ho vissuti in modo molto stretto attraverso gli occhi e i racconti dei miei amici e amiche kosovare a Prishtina, ma anche in Svizzera.
Le donne Kosovare mi hanno insegnato cos’è la bellezza. Quelle donne mi hanno raccontato lo stupro con una sobrietà e dignità incredibile!
La bella e suggestiva prefazione di questo suo nuovo romanzo, è di Roberto Saviano, nonché scrittore e giornalista italiano molto noto e amato anche in Albania. Potete dirci qualcosa di più riguardo al vostro rapporto?
Ci siamo conosciuti tramite la letteratura: io so che lui aveva letto me alcuni anni fa con il romanzo “Sole Bruciato” tradotto dall’albanese in italiano. Poi ha letto “Vergine Giurata” e così via…
Credo che ci accomuna un certo tipo di letteratura impegnata, una visione della letteratura in funzione della società, in funzione a quello che succede, in funzione all’investigazione, alle nostre terre complesse. La sua Italia, la sua Napoli. La mia Albania, la mia Tirana, i mie Balcani. L’orrore e la bellezza dei Balcani, come l’orrore e la bellezza di Napoli, del sud d’Italia, dell’Italia stessa. Ecco, queste sono le cose che ci accomunano e c’è una grossa stima reciproca tra di noi.
C’è un leggersi a vicenda e ogni tanto, c’è anche questo confrontarsi a vicenda. Quindi le stesse preoccupazioni e gli stessi amori delle nostre rispettive terre. Veniamo dalle due parti dello stesso mare e credo che sia difficile non amarsi mentre amiamo quello stesso e meraviglioso mare che ci divide e ci unisce. Questo succede con Roberto appunto, ma questo succede anche con molti altri scrittori dei Balcani con i quali io sono in grandi rapporti di amicizia perché hanno raccontato anche loro della guerra, come quella in Serbia per esempio. C’è una bellissima penna serba che è Vladimir Arsenijevic, che io rispetto molto e che è stato tradotto anche in albanese proprio in Kosovo.
A Parigi c’è stato recentemente un bellissimo incontro dei scrittori dei Balcani. Insomma, ci si tiene sempre in contatto, ci si parla e ci si scambia continuamente informazioni sperando che i nostri rispettivi governi facciano qualcosa in più e in meglio.
Per ultimo, vorrei una sua opinione sulla politica albanese in generale e sulle vicende successe ultimamente durante le elezioni amministrative.
Io penso che è arrivato assolutamente un grande bisogno di cambiamento in Albania. E quì parlo da persona mai affiliata da nessuna parte. Ci tengo che questo sia chiaro dato che ho sentito tante accuse che alla fine lasciano il tempo che trovano. Io ho deciso di fare quello che faccio e quindi la scrittrice e da tale, ho deciso anche di non tesserarmi da nessuna parte. Certo, ho le mie convinzioni molto legate ai problemi sociali in generale dei quali mi occupo, per cui il mio cuore batte dalla parte della sinistra moderata e mi rifiuto di parlare di comunismo dove spesso qualcuno cerca di farmi collocare. Ma poi vorrei tanto sapere, quali dei politici albanesi che peraltro usano il comunismo come propaganda, non sono stati comunisti al tempo della ferrea dittatura di Hoxha?!
L’Albania è un mondo a sé stante per quanto riguarda la sua politica. La sua situazione è estremamente complessa dato il suo passato molto presente. Ricordiamoci che il suo passato, non è remoto, è molto recente e spesso addirittura, appunto, presente.
Io sono e lotto per un futuro migliore per l’Albania, per una società sana e per una democrazia che cominci irrobustendosi sul serio finalmente. Partendo da questo punto di vista, penso che dopo tutti questi anni, da parte del governo e della coalizione del Partito Democratico, ci sia un momento di cambiamento vero e radicale. Detto questo, ripeto di non essere al soldo di nessuno come non lo sono mai stata. Resto molto critica verso la destra albanese, come molto critica sono spesso anche verso la sinistra. In questo momento, quello che il popolo albanese percepisce e recepisce, è una grossa dose di corruzione da entrambe le parti. Un rumore bianco fatto di tanti urli, di campagne elettorali condotte in maniere inconcepibili, con toni politici e televisivi talmente aggressivi, che il popolo si imbeve di noia per poi staccarsi e non interessarsi alle decisioni e alla politica del proprio Paese e questo è molto pericoloso.
Penso che anche la coalizione della sinistra abbia dei problemi in questo momento e due sono quelli principali: il suo linguaggio complesso che fa fatica a penetrare nella campagna, nelle famiglie fatte di gente comune, di gente semplice come la maggior parte di noi. Ci vorrebbe una comunicazione più semplice e credibile, diretta e non complicata che non fa fatica a conquistare il cuore e la mente della gente semplice, del popolo in generale. Ed il secondo problema è quello di non avere ancora messo in circolazione “sangue nuovo”. Quest’ultimo problema riguarda molto anche il PD dove il Clan dei Berisha ha cancrenizzato tutto il partito facendo subentrare in politica, interessi di business. Entrambi le parti stanno stagnando senza dare la possibilità a molti giovani e preparati politicamente, di andare avanti rinnovando le idee e i progetti. Tra i toni della sinistra e i toni della destra in Albania, quelli fatti di insulti che specialmente in nostro Primo Ministro Berisha utilizza, sono i più assurdi e inaccettabili.
Oltre alle iniziali dei nomi dei rispettivi Premier dei nostri due Paesi (Italia e Albania) e quindi S.
B, quali altre cose sono o possono essere, secondo lei, le somiglianze tra la politica contemporanea albanese di Sali Berisha, e quella contemporanea italiana si Silvio Berlusconi?
Questo concepire la politica come un business personale. In fondo, il Presidente del Consiglio italiano, possiede quasi tutti i media televisivi italiani e questo succede anche in Albania sempre di più. Questo modo da capoclan di concepire la politica, arrapando e mettendo in tasca per poi diventare molto aggressivi verso chi questo tipo di potere tenta di togliertelo dalle mani per dare al Paese un maggior’ rispetto. Ecco, questa è una grande somiglianza tra i nostri due Paesi con ovviamente alcune modalità diverse perché ogni Paese ha le sue caratteristiche.
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Questa intervista è disponibile anche in lingua albanese