L’olandese Marcel Duinker – oltre ad essere ingegnere di pista, capo tecnico del Team Kawasaki, di cui, il pilota inglese Tom Sykes è contendente al titolo Mondiale Superbike 2013 – è contemporaneamente amico dell’Albania e degli albanesi.
I suoi legami oppure la sua simpatia per l’Albania?
Derivano dal fatto che lui ha sposato una donna albanese. Marcel e Arjana vivono in Belgio e dal loro matrimonio sono nati anche due bei figli.
Oggi Marcel è presente da noi con un’intervista, realizzata attraverso una conversazione sulla sua professione e la passione per le moto, sull’Albania, l’Italia ed altro.
Marcel, benvenuto tra noi.
Grazie, bentrovati.
In primo luogo, congratulazioni per i risultati ottenuti fin’ora nel Campionato Mondiale Superbike 2013, in cui, il pilota del vostro Team Kawasaki, Tom Sykes, è contendente al titolo mondiale. Questo, penso sia dovuto non solo al merito del pilota, ma anche al lavoro di squadra, diretta in maniera eccellente da te.
Grazie mille.
Il mio ruolo nella nostra squadra comporta un’enorme responsabilità. Io ho dato forma al nostro gruppo, dirigo la mia squadra, ne sono coordinatore e responsabile per qualsiasi cosa che avvenga in essa. Lavoriamo in una squadra di 10 membri, tra cui ci sono tecnici, meccanici, ingegneri.
E’ esclusivamente mia la responsabilità nelle decisioni che vengono prese per la squadra e per il pilota stesso. Sono il primo a proporre delle idee, le quali di seguito, le studiamo e valutiamo insieme nel gruppo. E’ vero, io sono il responsabile, ma il nostro, è un lavoro di gruppo e i nostri risultati dipendono soltanto dal gruppo, dall’intesa della squadra. La nostra intesa e la nostra collaborazione sono molto forti e questo ha reso possibili i nostri risultati positivi ottenuti fin’ora.
Delle recenti gare del Mondiale SBK 2013, ho seguito quella del circuito di Laguna Seca, dove Tom Sykes ha vinto. Ma, il percorso della gara – suddiviso per ragioni di sicurezza della pista in due fasi – nella seconda parte, concentrato in soli 12 giri, diventò un po’ teso ed aggressivo. Come avete vissuto voi dal box tutto questo?
Io, questo lavoro lo svolgo da tredici anni ed è sempre uguale riferendosi alle emozioni. Noi iniziamo la gara con uno stress positivo, il cui inizia gradatamente addirittura dal giovedì, per raggiungere il massimo nella gara di domenica. E’ un lavoro insolito per quanto riguarda le forti emozioni, la passione che ci accomuna, la motivazione e per qualsiasi cosa inerenti in esso.
Noi percepiamo più o meno, le stesse emozioni del pilota, siamo talmente appassionati che ci sembra di correre in pista assieme a lui. La nostra, è una tensione positiva. Attendiamo che lui vinca con tanta emozione e l’intensità di questa emozione viene amplificandosi quando notiamo che il pilota si trova a buon punto e sta per vincere la gara.
In poche parole, sono queste le mie sensazioni mentre seguo la gara dallo schermo.
La tua passione per le moto, quando nasce?
Io sono cresciuto in un’isola nell’Olanda del Nord. Mio padre aveva una concessionaria ed io, ho trascorso tutta la mia infanzia tra le motociclette. Quindi da mio padre mi è stata trasmessa la passione per le moto, ma contemporaneamente – quello delle moto – essendo l’ambiente che mi ha circondato da sempre, ha fatto sì che questa passione diventi per me una cosa naturale, innata.
Quindi, Marcel vive la sua infanzia tra le motociclette, ma forse questo, più avanti lo porta ad approfondire gli studi sulle moto. Ti laurei in ingegneria automobilistica. Dopo la laurea, cambia la tua visione sulle moto?
Devo dire che la mia passione per le moto rimase sempre identica, anche dopo la laurea. Perché dovrei aggiungere che io, da bambino ero molto determinato e deciso in ciò che avrei fatto da grande, cioè focalizzandomi proprio sulla professione che svolgo adesso!
Posso raccontare volentieri che – mentre frequentavo le elementari – quando l’insegnante poneva a noi alunni, la classica domanda: “Cosa farai da grande?”,- io ero pronto a parlarle del mio sogno su questa professione e non solo: di intrattenerla per parecchi minuti discutendo solo sulle moto. Dunque, mi vedevo già convinto, proiettato verso questo lavoro che mi appassionava già a quei tempi.
Dall’università, ho conservato ciò che ho imparato sulla disciplina e la metodologia delle strategie da selezionare e sfruttare, per poter raggiungere un alto livello di prestazione delle moto. Anche su come muovermi ed analizzare diverse situazioni, con vari livelli di difficoltà.
Ma, alla fine, mi rendo conto che tutto ciò che faccio oggi, è un qualcosa di innato, che non è da tutti, che non basta solo lo studio per riuscire a realizzare. E’ qualcosa di forte dentro di te che tu coltivi con passione, alla quale si aggiunge l’esperienza negli anni, la disciplina e la responsabilità.
Mentre leggevo la storia della tua vita, ho notato che da giovanissimo, all’età di 18 anni, tu trovasti impiego come tecnico nella Honda. Diventasti tecnico del pilota Aoki, il quale a quei tempi vinse il Mondiale. Cosa significò per te – così giovane – la vittoria del pilota che seguivi?
A quei tempi ero molto giovane e purtroppo, non sono riuscito a godermi la vittoria del Mondiale da parte del nostro pilota, in quanto pensavo a divertirmi soltanto con i vari viaggi e spostamenti, collegati a queste gare.
Quell’anno per me è stato come un sogno – in quanto mi fermai da loro solo per un anno – dopo iniziai l’università e per me cambiò tutto. Quell’esperienza lavorativa rimase davvero come un sogno, come qualcosa di passeggero.
Mentre segui i piloti dal vostro box Kawasaki, ti attraversa il pensiero di correre in pista anche tu?
A dire il vero, non ho qualche desiderio particolare di correre in pista e soprattutto in quel modo – per il semplice fatto che – come questi piloti, di altissimo livello, pochi se ne contano nel mondo, quindi è chiaro che se, qualcuno di noi altri tenterebbe di imitarli, diventerebbe ridicolo. ( sorride)
Loro sono cresciuti sulle moto! E’ un po’ come in tutte le altre categorie dello sport – specialmente quando si ha a che fare con dei campioni a livello mondiale – diventerebbe impossibile imitarli.
Alla fine, ad ognuno il proprio ruolo!..
C’è una gara in particolare che porti nel cuore?
Gare diverse, emozioni diverse e non potrei distinguere nessuna, ma nella gara finale del Mondiale dell’anno scorso, in Francia nel circuito di Magny – Cours, il nostro pilota, Tom Sykes, vinse la gara, ma per superiorità di punteggio – di solo un punto – il primo posto nel podio, lo conquistò Max Biaggi..
Nella prima gara in Australia, Tom era caduto e non era in forma, in Spagna abbiamo avuto dei problemi tecnici. Ma arrivò la volta della gara in Olanda e lì abbiamo vinto! Quella gara segnò per noi, la svolta positiva. Devo dire che io, considero quella gara come la più speciale e da allora abbiamo solo vinto! Prima di quella gara eravamo posizionati sesti e da lì, arrivarono per noi sensazioni solo positive.
Chi è il pilota italiano che conosci meglio professionalmente?
Si tratta di Marco Melandri.
Lo considero come un pilota con davvero molto talento. Secondo il mio parere personale, lui si è ritirato molto in fretta dalla Moto GP ( per passare alla categoria Superbike ). Avrebbe dovuto continuare ed avrebbe potuto anche vincere il Campionato quest’anno.
Sei mai stato in Albania? Quali impressioni riporti sulle città che hai visitato, sulle tradizioni albanesi? Se hai visitato la capitale, Tirana, cosa ti ha colpito di più di essa?
Sì, in Albania ci sono stato una volta. Ho visitato Tirana.
Appena ho messo piede nella capitale, mi sono detto: “Ok, questa è la città dove è nata ed è cresciuta mia moglie!”
Ma, ebbi subito la percezione che – in precedenza – non dovrebbe essere stato facile vivere in quell’ ambiente. Perché ho notato che tutt’ora, nonostante la distanza geografica ravvicinata con l’Europa – specialmente dall’Europa del Nord – l’Albania è molto lontana.
Ho notato che la natura dell’Albania è bellissima, il suo clima è altrettanto bello, ma la mia impressione è stata quella che purtroppo, la gente dell’Albania stessa, non è in grado di godere le bellezze di questa natura, del tutto, a causa di varie difficoltà e carenze nelle infrastrutture e nell’organizzazione della vita del paese.
I primi tre o quattro giorni, feci fatica ad ambientarmi, ma dopo mi trovai molto bene. Una cosa mi ha colpito particolarmente: il traffico automobilistico di Tirana! Ti devo dire che io, ho guidato la macchina in Brasile, Indonesia, Africa, Russia ma, il traffico nelle strade di Tirana si fa notare su tutti!..
Dopo un po’, riuscii ad imparare anche le regole di circolazione stradale a Tirana, però!..
Mi ha fatto molta impressione l’ospitalità degli albanesi! Molto affabili e cortesi, tutti coloro che abbiamo incontrato, gente semplice nel comunicare e queste cose mi sono rimaste nel cuore dell’Albania.
Suppongo che tu conosca anche la cucina albanese. Una specialità culinaria tipica albanese che ti piace particolarmente?
A conoscere la cucina albanese, questo non l’ho constatato solamente andando in Albania, in quanto questa cucina la consumiamo anche in casa, praticata da parte di mia moglie.
Però, una specialità tipica che ne preferisco è il Byrek, ma quello preparato in forma attorcigliata e servito – accompagnato, a piacimento – con della crema di yogurt naturale, condito con dell’aglio e olio di oliva. ( sorride)..
A Tirana, ho gradito anche la qualità ed il sapore della birra ‘Tirana’.
E in Italia, quali luoghi avete visitato per le vacanze?
L’Italia – sia per me, che per mia moglie – è la nostra meta preferita per le vacanze. Occupa il primo posto tra le nostre preferenze per trascorrere dei giorni di riposo con la famiglia. Abbiamo visitato il Lago di Lugano,siamo stati anche a Madesimo, in Lombardia, a sciare.
Desiderate ritornare in Italia, per visitare qualche altra città?
Certamente. Preferiremmo visitare Venezia e Roma. Dell’Italia ci affascinano la sua storia, la cultura, l’arte.
Poi, per quanto riguarda la cucina italiana, la consideriamo la prima in Europa!
Io, in particolare, amo la cucina giapponese e la considero la migliore a livello mondiale, ma invece in Europa, l’Italia – per la cucina – detiene il ‘primato’.
Ed infine Marcel, qual è il messaggio che intendi trasmettere ai giovani sulla gestione ed il rispetto della velocità in strada, mentre guidano in generale le auto ed in particolare, le moto?
Quando sei giovane, di solito, non percepisci il pericolo a cui vai incontro mentre corri forte in strada. Io stesso, da giovanissimo, andavo forte in moto, senza rendermi conto dei rischi che correvo, dei rischi a cui sottoponevo la mia vita e quella degli altri. Intorno all’età dei 25 anni, acquisii più consapevolezza ed in modo serio, su cosa rischiavo guidando in quel modo..
Tutto ciò che viene trasmesso in televisione dal mondo delle gare automobilistiche e quelle di motociclismo, non va assolutamente imitato dai giovani in strada. Le piste ed i circuiti delle gare sono un altro mondo, invece in strada, occorre rispettare le regole della circolazione stradale e i limiti di velocità.
Spesso mi capita di vedere dei giovani che corrono troppo forte in moto e senza abiti adeguati a livello di sicurezza e protezione. I piloti indossano degli abiti molto sofisticati, studiati appositamente per la loro sicurezza. Ed è anche per questo che sono rammaricato, quando vedo dei giovani, rischiando la vita in strada, in questo modo. Per cui, a loro consiglio tanta prudenza, di prendere le dovute precauzioni ed il rispetto del codice della strada.
Questa intervista è disponibile anche in lingua inglese