Dal 1988, con il suo Intercity festival, il Teatro della Limonaia di Sesto Fiorentino, in provincia di Firenze, si offre come punto di approdo e di scambio per spettacoli teatrali che mettono in scena altri mondi e altre espressioni artistiche.
Quest’anno, “per evidenziare il quotidiano intensificarsi delle interconnessioni globali”, la direzione artistica ha scelto di cambiare leggermente il format: il festival infatti non si è concentrato, come nelle passate 27 edizioni, su una particolare città o regione e sulla sua scena artistica, ma ha viaggiato lungo le trame di un particolare tema, l’utopia, il viaggio, la lotta per riprendersi la propria vita e la propria identità, l’Odissea- questo il titolo della ventottesima edizione- fermandosi in diverse luoghi per saggiarne i significati e le espressioni artistiche che questo assume localmente.
Sul palco si sono alternate compagnie teatrali provenienti dal Québec, dal Belgio, dall’Italia, dalla Germania, dal Kosovo. Noi di Albania News siamo andati a vedere quest’ultimi: la compagnia teatreale Qendra Multimedia e il loro “Lufta ne kohen e dashurise ” ( “Guerra ai tempi dell’amore”) diretto dalla regista Blerta Neziraj e recitato, in albanese ovviamente (con i sottotitoli in italiano), dai bravissimi Aurita Agushi, Shengyl Ismaili, Shkelzen Veseli, Albulena Kryeziu, Molikë Maxhuni.
L’opera è di Jeton Neziraj, prolifico e importante autore kosovaro con alle spalle più di 20 opere teatrali, messe in scena in vari paesi, e diversi libri e articoli. Prima dello spettacolo ho parlato un po’ con Jeton, che era lì per presentare il suo lavoro e parlare del suo teatro. Abbiamo parlato del più e del meno per lo più, gli ho chiesto della scena teatrale kosovara, ho fatto un po’ di domande su di lui e sulle sue opere, “alcune sono ok” ha detto “altre no, le ho scritte troppo giovane, ma bisogna allenarsi”, gli ho chiesto allora se quella che stavo per vedere era ok, “non è male” ha detto facendo spallucce.
Ho fatto giusto in tempo a intercettare un “Madonna, noi sì che sappiamo divertirci il sabato sera! Sarà una pesaaata [textmarker color=”C24000″]1)[/textmarker] questo spettacolo…” proveniente dal non numerosissimo pubblico prima che si alzasse il sipario. Sono sicura che se avesse sentito quel commento Jeton si sarebbe fatto una grande risata, e ne sono sicura perché sono bastate poche battute per fare capire abbastanza chiaramente a tutti che la prima delle intenzioni dell’autore era fare a pezzi quelle cose che hai nella testa quando pensi “guerra + autore kosovaro+ teatro= pesaaaata”. Ti aspetti personaggi vestiti di nero che narrano inenarrabili sofferenze e si stracciano le vesti e rimangono nudi, accovacciati in mezzo al palco, pieni di ferite? E invece no, ti parlerò per quasi tutta la durata dello spettacolo di peli e cerette, e ti farò ridere.
“A me non piacciono gli stereotipi- ha detto subito Neziraj alla presentazione- la gente vuole i buoni e i cattivi, ma a me non piacciono gli stereotipi, le storie già raccontate. Succede a volte nei miei spettacoli che la gente se ne vada perché non ci sono i soldati serbi cattivi. Dove sono i cattivi, si chiedono. Non ci sono i serbi cattivi e allora se ne vanno.”
In “Guerra ai tempi dell’amore” non ci sono i serbi cattivi, ovviamente (a dire il vero non sappiamo nemmeno se siamo in Kosovo, i nomi dei personaggi sembrano suggerire di no) ci sono solo quattro donne e un uomo dentro un salone di bellezza che parlano-come dicevo- di depilazione, capelli, unghie, culi, pettegolezzi, sesso, uomini e raccontano- provano a raccontare- le loro storie di paura, vendetta, amore in 28 scene che cambiano rapidamente, frenetiche e divertentissime. È questo ritmo assillante, accompagnato da musiche e coreografie veramente coinvolgenti, che prende per mano lo spettatore e lo trascina all’interno di un mondo che diventa via via sempre più magico. A metà spettacolo si insinua, strisciando come un serpente, il dubbio che il comico diventi tragico, ma solo nel finale il ritmo si abbassa, gli attori riprendono fiato, lo sguardo si può finalmente allargare e scorge intorno al salone le luci della morte.
Il salone di bellezza con le sue piccole storie sembra essere, quindi, nello spettacolo come nella realtà, il luogo della rinascita, della ricostruzione, dell’abbellimento, che in un salone di bellezza altro non è che trovare l’equilibrio tra quello che si deve mostrare e quello che si deve nascondere.
La narrazione ruota intorno alla signora anziana (Zonja plake), che tesse le fila delle altre storie ma non riesce a raccontare la sua, “questa storia è difficile da raccontare” dice, lo spettatore cerca di scorgerla, di intuirla nei gesti, nelle parole, ma solo alla fine si rivelerà. Solo alla fine il salone diverrà il prodotto dell’immaginazione collettiva di queste quattro donne, la memoria si svelerà, la guerra che era sempre stata attorno al palcoscenico lo pervaderà.
È come se l’autore volesse dirci che l’esistenza in un mondo post-bellico è possibile solo in questa linea sottile, in questo equilibrio fragilissimo della coscienza che deve scegliere cosa mostrare e cosa nascondere, cosa mostrarsi e su cosa nascondersi. Sembra quasi una sospensione, una parentesi, il tempo immaginario del salone. In un mondo fuori pieno di lapidi, il salone e il palco rovesciano tutto e fanno in modo- magicamente- che la guerra sia un incidente del tempo e l’amore il tempo, e non il contrario: guerra ai tempi dell’amore appunto.
- [textmarker color=”C24000″]Dialettale, indica una cosa pesante, difficile da seguire[/textmarker]