I vari materiali sull’opera, biografia e la più recente presenza in due esposizioni a Roma sono stati pubblicati da albanianews.
Palazzo Venezia, il 2 aprile 2009; ore 15 c.ca
A: Buonasera Vénera!V.
K.:Buonasera!A: Inizialmente le vorrei chiedere cos’è per lei l’arte contemporanea…solo una definizione che circoscrive l’arte in modo cronologico oppure una vera e propria forma d’arte tipica della società contemporanea e che ne è portavoce?V.
K: L’arte vive con l’uomo, con il tempo quindi comunque seguirà il tempo, però credo che allo stesso tempo un vero e proprio artista debba essere in grado di essere contemporaneo in tutti i tempi, quindi rimanere vivo in tutti i tempi. É ovvio che tanto spesso si parla per temi sociali, si toccano problematiche attuali ovunque sia in televisione sia nella vita quotidiana o in politica, ma l’immagine dovrebbe cogliere quello che si ripete in tutti i tempi della vita. Ritengo che contemporaneo sia ciò che probabilmente sono i mezzi e le tecniche contemporanee. Abbiamo più mezzi a disposizione per raggiungere una forma espressiva. É ovvio però che per quanto riguarda il contenuto, se questo un domani muore vuol dire che non è mai stato contemporaneo. A: È importante secondo lei il dibattito su quanto possa essere comprensibile l’arte concettuale al di fuori di quelle strette cerchie di artisti, intellettuali e cultori. Quale ruolo sociale ha quindi l’arte (in questo caso quella contemporanea) e se ce l’ha, come riesce secondo lei a far dialogare le condizioni umane in estremo stato d’emergenza, ossia quelle che lei sceglie generalmente e l’evoluzione di questo stato in relazione al ambiente sociale. Qual è questo rapporto e come riescono queste due dimensioni a dialogare nel suo caso?V.
K.: Quello che io cerco di fare con la mia opera è che possa dialogare con tutti quanti, nel senso che sia la mia storia personale a riflettere tutto quello che è mio ma che nello stesso tempo ognuno si rispecchi in qualche parte di essa. In tal caso direi che la mia opera ha raggiunto il suo massimo e questo credo che sia il dialogare con l’arte. A questo faccio riferimento per me stessa come artista.
Per quanto riguarda in genere l’arte che cerca di entrare in comunicazione con la parte sociale da lei menzionata, credo che ciò non si realizzi per forza solo perché un artista vuole fare un’opera appositamente per il pubblico. Io credo che ognuno degli artisti parli di se stesso, delle sue storie e attraverso se stesso ha parlato con gli altri. Questo è il modo di comunicare con gli altri.
A: Quindi se lei dovesse concepire un suo “compito” come artista, sarebbe proprio questo, quello di far dialogare l’arte come espressione con la società come dimensione?V.
K.: Si, io cerco sempre di far dialogare comunque. Al di là della mia opera credo che sia importante che gli altri possano dialogare con almeno qualche punto, non pretendo con la mia opera in totale. É bello che quando io parlo di qualcosa d’intimo per me oppure di qualcosa che fa parte del mio mondo, altri invece lo interpretano in modo diverso che non è magari proprio il mio punto di partenza, ma non è nemmeno quello d’arrivo. Ciò a me da una grande soddisfazione, perché vuol dire che la mia storia diventa universale, non rimane chiusa nella storia di un’artista albanese o italiana.
A: Sempre sulla questione tra arte e la sua espressività per il tessuto sociale. Lei crede nell’importanza della commercializzazione dell’arte, quella commercializzazione che tende a renderla più “popolana”. Nel caso si possano rapportare quale rapporto, dovrebbe esservi fra senso/concetto e forma/esteriorità? Fino a che punto l’arte rimane tale e non diventa marionetta commerciale? Ho presente per esempio, tutti gli effetti speciali usati nel cinema che tendono a non dare dei contenuti ma sola esibizione, e nonostante ciò il punto d’incontro con il pubblico c’è (forse, però in questo caso bisognerebbe chiarire se anche la società in genere è imbevuta di contenuti o se è ricoperta solo di una facciata). Ha senso chiamare arte tutto ciò?V.
K.: Infatti è una bella domanda. Spesso si tende a un’arte che diventa una forma di marionetta perché l’artista ha bisogno anche di sopravvivere quindi l’arte diventa facilmente commerciale. É molto facile che un’artista caschi in una trappola del genere. Il problema è altrove perché dipende quali sono gli obiettivi di un artista e se veramente nasce da una pura passione.
A: Ma in quel caso rimane un’artista, nonostante diventi preda di questa trappola?V.
K.: Dunque, è vero che un artista molto interessante potrebbe diventare anche commercialmente interessante. Non sono due cose che vanno necessariamente in parallelo. Ci sono molti artisti che sono morti addirittura senza aver raggiunto il punto del successo, oppure registi che conosciamo benissimo dai tempi del cinema muto a oggi, ma il problema è altrove e dipende sempre dal punto di partenza…se l’obiettivo della propria opera è proprio quello di diventare commerciale, ossia quando l’artista fa un’opera che sa che piace al pubblico e che da esso viene accettato e quindi fa qualcosa per il pubblico. Il mio obiettivo invece è quello di fare un’opera che parli di me, che sia legato alla mia vita, alla mia storia. Poi se la mia opera diventa anche commerciale che ben venga, non sono contraria, però ovviamente non ritengo che un’opera che abbia raggiunto un massimo a livello commerciale debba essere per forza un’opera di valore. Bisogna comunque lasciar tempo a un’opera di svilupparsi, di sopravvivere ai tempi, per essere contemporanea.
A.: Lei è molto diplomatica a riguardo quindi io non persisto. Ho letto nella sua biografia che lei lavora prevalentemente in studio. In quale modo tiene contatto con la realtà sociale, con le sue situazioni estreme così da poterla studiare per poi creare?V.
K.: Si, spesso il mio lavoro si sostiene tutto sullo studio, o quasi. Questo però per quanto riguarda la realizzazione tecnica dell’opera. L’idea nasce e parte da fuori, si sviluppa fuori dal mio studio. Quanto parto in un progetto comincio a cercare l’idea, la quale potrebbe nascere sia dalla mia vita, sia dalla quotidianità o da temi in cui sono interessata, dalle notizie delle news e soggetti attuali. Poi il mio lavoro si sposta in studio, cosa molto necessaria per me perché spesso creo dei teatrini molti simili al teatro delle ombre cinese, però sviluppati in una forma un po’ diversa, più mia diciamo. Questi teatrini possono avere dimensioni sia molto piccole sia molto grandi, quindi lo studio è essenziale. In questo modo potrei lavorare sia con la fotografia o con i video. Sostanzialmente la realizzazione richiede lo studio ma tutto il resto nasce da fuori e di conseguenza non si viene a perdere il contatto con la gente.
A: Su questo punto volevo chiederle come influiscono nelle sue creazioni le ombre, il cinema muto, la psicanalisi. Sono parte concettuale della sua opera o sono solo la forma espressiva delle sue idee e sensazioni? Se non sbaglio lei ha sostenuto anche una tesi su questo tema, “Incontro con Truffaut e Hitchcock, Cinema e Psicanalisi”… appunto su questo le volevo chiedere quali sono stati gli artisti che hanno maggiormente influito nella sua opera.V.
K.: Più che artisti direi registi.
A.: Che sono lo stesso degli artisti…V.
K.: Si, non artisti visivi, infatti sono degli artisti molto completi in quanto racchiudono un po’ tutti i linguaggi espressivi dell’arte. Infatti, sono molto affascinata anche dal cinema perché ritengo che sia completo ed è difficile raggiungere una completezza così multimediale; c’è la fotografia, l’immagine, il sonoro e tutto ciò contribuisce a raggiungere un’idea sola.
A.: Non a caso qualcuno ha detto che spesso i registi sono un’anticamera di Dio proprio perché creano una dimensione completa quanto quella della vita stessa. V.
K.: È vero. Spesso precedono la vita, vanno oltre e questo è molto bello perché hai la possibilità di fantasticare. É vero che i linguaggi visivi, spesso anche delimitano molte cose, per esempio l’immagine bidimensionale spesso blocca l’immaginazione. La possibilità di trovare ed usare un linguaggio multimediale mi risulta più interessante e questo è nato proprio dopo il mio arrivo a Milano. Dopo la tesi per me è scattata proprio questa idea di elaborare in diverse forme.
A.: Come influisce la realtà milanese nella sua vita quotidiana, nella sua opera?V.
K.: Spesso sono state collegate. Le idee sulla mia vita attuale e i ricordi con la memoria di cui parlo in molti dei miei lavori. Ciò è importante nel fattore di quello che vivo realmente, com’è il mio approccio non con l’Italia ma piuttosto con la mia “seconda vita”. Delle tematiche che sto toccando negli ultimi lavori sono collegati con emozioni estreme che si possono provare anche in confronto con il divertirsi ad essere razzisti, giocare a far male a qualcuno, giocare a non essere accettato, un gioco che diventa pericoloso. Questo sarà uno dei temi ed ecco che vi ho anticipato qualcosa del prossimo progetto.
A.: Allora continuo con la prossima domanda poiché a quella che le volevo fare adesso, ha già risposto. Ho notato che nella sua opera è centrale l’Assenza, quella prevalentemente fisica, così come la nostalgia, il ricordo…infatti nel mentre che leggevo queste sue caratteristiche mi veniva in mente il film Nostalgia di Tarkovskij…
Ecco appunto, questa assenza spesso espressa tramite luci e ombre, è un elemento base della sua opera o è solo il mezzo per esprimere e descrivere un’altro elemento base? Quindi quale ruolo, funzione occupano questi elementi o comunque li si voglia chiamare, nel suo lavoro?V.
K.: É una domanda che mi hanno fatto diverse volte, giustamente. In effetti, parlo spesso su questa tematica, fino ad adesso fondamentale nel mio lavoro. E non posso fare altrimenti, parlo spesso nel mio lavoro anche della mia vita precedente, della mia infanzia, ed è questa la nostalgia per me. Essa non è legata al vero e proprio terreno dell’Albania, ma piuttosto al mio territorio familiare, ai ricordi infantili. È stato ed è importante perché è forse una fonte che mi da uno spunto e una base su cui si sviluppano i prossimi progetti, collegata sempre alla mia esperienza attuale. A.: Quindi si potrebbe dire che il suo collegamento all’arte contemporanea passa inevitabilmente alla sua vita del passato, al vissuto, alla sua infanzia in Albania e del percorso che in seguito lei ha fatto dall’Albania all’Italia?V.
K.: Si, diciamo che parlo di ciò che ha lasciato in me dei segni particolari. Spesso non sono neanche personali, sono delle impressioni che ho avuto attraverso il mio circuito infantile o di quel periodo che è stato molto importante per ciò che sono diventata dopo. La mia esperienza attuale ha un ruolo molto importante e fa un ponte col passato.
A.: Lei sente nostalgia per l’Albania?V.
K.:…mmm. Attualmente no (ride). È vero, è contraddittorio. Lei mi sta chiedendo sulla nostalgia, se stiamo parlando di nostalgia, però è contraddittorio come sentimento, no? Non ho nostalgia per l’Albania appunto perché per me l’Albania è diversa, è la mia famiglia, il mio territorio, tendendo comunque conto che anche in Albania ho avuto un passato da emigrante. La mia origine è kosovara e i miei genitori sono stati spesso rifiutati per quello che erano e di conseguenza sentivo quasi vergogna in infanzia della mia origine kosovara. Mi sono sentita nella stessa posizione arrivando in Italia, con la stessa situazione…
Diciamo che l’Albania come territorio non mi manca, ciò è dimostrato dal fatto che non vi sono tornata spesso (ride), però mi mancano i profumi, mi manca quello che io ero una volta, mi mancano i momenti belli. A.: Le manca il passato quindi?V.
K.: Si, mi manca il passato. Certe volte lo vorrei cancellare, cosa che non si può fare perché è impossibile, anche inconsciamente fa parte di noi e nello stesso modo segna anche il percorso futuro. Volendo o no, ad un certo punto parlerò di quello che sono in realtà, quindi in quello che sono confluiscono il passato ed il presente assieme.
A.: Giacché lei preferisce oggetti fragili e/o materiali facilmente dissolvibili a contatto con la tridimensionalità, mi descriverebbe tramite essi il suo sentimento di nostalgia?V.
K.: Si, per esempio un opera che avevo già fatto sugli oggetti dissolvibili è un’opera di eclisse ed è fatta di una casa composta da zollette di zucchero che brucia, cosa che è assurda perché una casa di zucchero non brucerebbe mai, diventerebbe caramello. Nello stesso tempo è una materia che si dissolve e perde nel tempo, è una materia che non esiste. Diventerebbe dolce al massimo, si assaggia e rimane nella memoria, rimane come un sapore.
Mi piace la poesia nascosta dietro alle opere perciò sono attratta da questi oggetti che sono fragili e che nello stesso tempo, come le ombre, appaiono e scompaiono. La poesia che vi è dietro mi attira molto perché sono degli elementi come noi, identificano noi, però non possiamo catturarli. L’idea stessa dell’elemento umano o della materia che non può essere catturata, ha la sua libertà, la sua personalità indipendente ma che nello stesso tempo è, quindi appare e poi scompare. A.: Lei è religiosa?V.
K.: No, assolutamente.
A.: Dalla risposta precedente direi che forse lo è, però in senso più spirituale che tipicamente religioso.V.
K.: Si, in questo senso credo nell’anima dell’uomo. Non credo in qualche cosa che è sopra di noi e che ci guida. Credo che spesso ci proponiamo e spesso ci sottomettiamo al posto delle marionette diventando tali, sottoponendoci all’idea che ci sia qualcosa che dovrebbe guidarci. Abbiamo sempre bisogno di qualcosa che ci guida…
A.: Che ci fa sentire più sicuri, protetti?V.
K.: si, anche perché indipendentemente da chi questa figura sia, se Dio o meno, cerchiamo comunque una persona dalla quale dipendere e diventiamo delle marionette perché ci sottoponiamo. Lì scaturisce una forma di emozione estrema nelle persone, un fenomeno che m’interessa molto ed è importante per me. Credo che in questi casi l’uomo raggiunga il suo massimo in espressività, cercando il proprio limite, fino a dove possa arrivare e in che cosa inquadrarsi. A.: Bene, io il mio repertorio l’ho esaurito. Se lei vuole salutare qualcuno, ora è il momento. Mi raccomando quelli di Albanianews…ci tocca: )V.
K.: Quelli di Albanianews certo che li saluto, anche perché mi stanno facendo l’intervista (ride), tra l’altro è la seconda volta che pubblicano su di me dopo la prima un po’ di tempo fa, prima di questa mostra. Poi saluto tutti quelli che mi hanno sostenuto e “supportato” fino adesso. Sono stati un grande sostegno per arrivare al presente, mi hanno affiancato nel successo sia di persona che come artista, due cose collegate fra loro.
A.: Da parte di Albanianews, tanti auguri per il futuro.V.
K.: Grazie