Fino al 20 luglio, alla galleria “The Promenade” di Valona, si potrà visitare la mostra “Questioni personali” del pittore italiano Marco Fantini. Le opere presentate sono 16 dipinti, un video, e un’installazione di 60 disegni e fotografie elaborate e montate su antiche cornici.Incuriositi dalla particolare storia alla base dell’ideazione di questa mostra, vi proponiamo una breve conversazione col pittore.
Il giorno in cui perse suo padre, Marco Fantini cominciò a osservare attentamente la sua casa, esaminando e toccando tutti gli oggetti presenti: vecchie foto, mobili, tappeti, quadri, libri, vestiti, ecc … Visse in prima persona ogni fase della malattia del padre, ma non riuscì mai ad accettarne la morte: la sola idea che se ne andasse era per lui insopportabile. Ha visto il padre soffrire in silenzio, ma solo oggi, tre anni dopo la sua scomparsa, ha realizzato che egli non c’è più. Ecco perché la mostra, frutto di questa dolorosa osservazione, potrebbe essere sollecitata da un inconscio anelito verso l’immortalità. Questo è stato, del resto, proprio il momento decisivo che ha visto la trasformazione di tali ricordi in arte.
Come ha avuto inizio questa mostra?
Non credo di essere un artista concettuale, nonostante tutto il mio lavoro si basi ostinatamente su una stessa tematica: quella dell’identità. Non sono stato io a sceglierla, né tantomeno a cercarla, ma sono stati piuttosto il mio carattere e la mia storia personale a spingermi verso di essa. Io sono sempre lì. Questa mostra non è stata pianificata a tavolino. Vivo la mia professione come un costante processo di auto-cognizione e solitamente, quando porto a termine un ciclo di opere, mi ci siedo vicino e le osservo per lungo tempo, cercando di scoprire al loro interno qualcosa che mi potrebbe condurre a un livello superiore di autocoscienza.
Come ho scritto anche nel testo allegato alla mostra, nell’ultimo periodo ho dedicato buona parte delle mie energie all’osservazione degli spazi interni e agli oggetti che mi circondano; posso quindi affermare che il punto cardine della mostra si trova perlustrando l’interno di questo lungo periodo di attenta osservazione.
Che cosa ha appreso strada facendo?
Volevo evitare di essere retorico, ma la verità è che ho lavorato per mesi interi pensando alla figura di mio padre -il quale si è spento tre anni fa- e alla mia famiglia, che nonostante veda poco concepisco come un’orfana della propria stabilità.
Quali emozioni ha provato una volta tornato a casa?
Quando sono tornato questa volta, dopo la mostra, ho avuto una sensazione di quiete … come se qualcosa fosse giunto a destinazione.
Quali sono i ricordi che sorreggono una storia?
Tutti i ricordi contengono dentro di sé una storia. Artisticamente parlando, io non cito mai i miei ricordi personali nelle opere che faccio. Perlomeno, mi sforzo di non farlo in modo testuale, anche se ritengo che gli uomini manipolano i propri ricordi a seconda dell’interesse personale, abbandonando così la loro vera coscienza.
Quale scia di punti interrogativi lasciano dietro di sé gli uomini andandosene?
Voglio essere sincero: ho vissuto tutte le fasi della malattia di mio padre, rinnegandone in modo categorico la morte. Mi era oltremodo insopportabile anche solo l’idea che se ne potesse andare per sempre. Nei panni di uno spettatore ho visto mio padre soffrire in silenzio e di rado ne ho percepito la paura, la debolezza. Solo ora, tre anni dopo la sua perdita, ho accettato l’idea che egli non c’è più.
Perché mai i vivi cercano di mettere ordine?
Noi tentiamo di mettere ordine nella nostra esistenza, di sistemare e organizzare il tutto, poiché tramite queste azioni costruiamo un sistema che ci dà la sensazione di essere padroni assoluti del nostro destino e della realtà circostante. Realizziamo continuamente progetti per la vita, bramando inconsciamente l’immortalità. Quello che mi è successo negli ultimi anni è qualcosa di diverso.
Non è una semplice riorganizzazione dello spazio che mi circonda, ma una profonda osservazione dei suoi elementi costitutivi. A una prima osservazione sembra insensato che io mi soffermi su oggetti e immagini familiari che accompagnano in modo impercettibile la mia esistenza. Anche i battiti del cuore, anche il respiro sono parte della nostra vita quotidiana e tuttavia non dedichiamo loro nemmeno per un istante la nostra attenzione. Volevo aggiungere inoltre che. osservando le opere di questa mostra, mi rendo conto di aver omesso alcuni degli oggetti che mi caratterizzano, quali i teschi e le croci.
Questa mostra non è meno drammatica del solito, tuttavia la sensazione della caducità dell’esistenza si percepisce in ogni singola opera con grande potenza.
Oggigiorno i teschi vanno di moda, vengono spesso utilizzati dagli stilisti, spesso li troviamo nelle pubblicità … ormai non spaventano più nessuno. In questo senso il teschio di Damien Hirst è simbolico, una critica aspra e al contempo cinica alla società contemporanea.
Quali tecniche adopera nelle sue opere?
Nelle mie opere cerco di usare tutte le tecniche possibili. Uso indifferentemente l’olio, l’inchiostro e l’acrilico; a volte li mischio tutti assieme nello stesso quadro. La realizzazione di una mia opera può occupare un solo giorno, ma anche un mese o più, è difficile precisarlo. Altri miei quadri possono essere abbandonati per poi, forse, essere ripresi dopo molti anni.
Riguardo la sua origine albanese da parte dei nonni di sua madre cosa ci può rivelare?
Per quanto concerne l’origine albanese dei nonni di mia madre non vi posso dire molto. Ricordo che i miei nonni parlavano in albanese tra loro e avevano origine arberesh. Posso aggiungere inoltre che le radici della famiglia di mia madre, da un’iniziale elevata consapevolezza, sono passate poi a una certa fragilità.
E come si sente al riguardo?
Come ho affermato prima, ho una percezione alquanto complessa della mia identità personale. Dubito di tutto e dubitando ho finito per assumere io stesso” l’identità” del dubbio che vorrei risolvere definitivamente. Una medesima emozione, una medesima idea si possono esprimere in modi differenti ed essere ugualmente efficaci. Visto che dubito di tutto, cerco di analizzare uno stesso problema da punti di vista differenti come la pittura, il video, il disegno, la scultura, la fotografia. L’installazione artistica è nata come conseguenza diretta dell’affinità tra i diversi linguaggi in un medesimo spazio.
Quale rapporto ha con Valona, non essendo la prima volta che si reca in questa città con una sua mostra?
Sul legame che ho con la città di Valona influisce fortemente la mia amicizia, ormai quinquennale, con Artan Shabani e il fatto che proprio in questa città si trova la sua galleria. Posso dire senza esitazione che ho trovato gente molto ospitale, ho incontrato artisti e persone con un’intelligenza e una cultura vastissime. In Italia i mezzi di comunicazione hanno creato un’immagine dell’Albania e dei suoi abitanti che non corrisponde minimamente alla realtà.
Articolo di Valeria Dedaj. Pubblicato sul quotidiano Shekulli del 10 giugno 2012. Titolo originale “Njerëzit manipulojnë kujtimet dhe braktisin ndërgjegjen e vërtetë”.
Tradotto per AlbaniaNews da Daniela Vathi.