Dal 1973 al 1990 è stato alla guida dell’Archivio Centrale del Film. In un’intervista per il quotidiano albanese Shekulli, Abaz Hoxha, oggi ottantenne, racconta particolari interessanti della storia dell’istituzione che ha fondato e dal secondo dopoguerra conosce meglio di chiunque altro.
Il suo impegno nel cinema, in particolare, è legato alla direzione dell’Archivio Centrale del Film. Può dirci qualcosa di specifico di questa esperienza?
Quando sono arrivato al Kinostudio (Cinecittà), l’Archivio assomigliava più a un deposito. C’erano pochi film, perché buona parte erano stati bruciati nel 1947. Per lo più film stranieri, da noi considerati “trofei di guerra” perché catturati ai nemici. Invece un’altra parte erano stati presi dai russi in buona fede, ma non sono stati mai restituiti. Insomma, era più una videoteca che un archivio, in cui venivano catalogati e conservati i film che avevamo cominciato a produrre dal 1947. Nel 1962, sollevai il problema che l’archivio doveva aderire alla Federazione Internazionale degli Archivi del Film, perché non avevamo alcuna esperienza. Un anno dopo, tra tante avversità, la richiesta è stata approvata e dal 1963 siamo membri di questa organizzazione. Necessitavamo di formazione perché non sapevamo molto sulla conservazione, la manutenzione dei film e l’istituzione di un organo scientifico responsabile di queste azioni e studi futuri. Fino al 1966 sono stato capo ingegnere, poi sono stato trasferito nel settore cinematografico, dove mi occupavo dell’import-export dei film e la selezione dei film stranieri. È stato una grande esperienza per me, perché sono venuto a conoscenza della cinematografia mondiale. È vero che proiettavamo pochi film nei cinema ma all’epoca ci venivano più persone. Sono stato costretto a guardarli tutti per poterli selezionare. Ho lavorato in quel settore per 7 anni. Nel 1972, ero molto preoccupato dell’Archivioperché versava in condizioni pietose e rischiava di prendere fuoco all’istante. Com’è diventato l’Archivio che conosciamo oggi?
Sul quotidiano “Zëri i popullit” (La voce del popolo) ho pubblicato una volta un articolo dal titolo: “Ci servirà tanto l’Archivio del film”. Ero dell’idea che l’archivio doveva essere concepito come un’istituzione scientifica. Una scuola per i giovani registi, perché attraverso l’Archivio sarebbero venuti a conoscenza della cinematografia albanese e straniera. In questo momento è stato lanciato l’idea di creare un Archivio Nazionale con un regolamento permanente approvato dal ministro, che venne istituito nel 1973 e io fui nominato Direttore. Vi sono rimasto fino al 1990. Nell’articolo sollevavo anche la questione che dentro l’archivio non avrebbero dovuto lavorare persone ordinarie, ma gente appassionata dello studio, critici che potevano fare la critica dei film, della creatività dei registi e delle attività degli attori. In questo punto ho fallito, perché, come sempre, chi comanda pensa a chi raccomandare e far lavorare. Quali film sono conservati nel fondo della cinematografia straniera dell’Archivio?
Tutti i film del neorealismo italiano sono arrivati in Albania. Una corrente nata nel secondo dopoguerra, il neorealismo era la continuazione del realismo poetico francese della fine degli anni ’30. Dato che racconta l’Italia del secondo dopoguerra, distrutta, impoverita e il suo popolo strapazzato fisicamente e mentalmente, è la ragione per cui questi film sono stati autorizzati a essere proiettati in Albania con lo scopo di evidenziare le ferite della società capitalista. Ci sono film di Michelangelo Antonioni, Vittorio De Sica,e di tutti i grandi del neorealismo e del cinema italiano. E poi film come “Roma alle ore 11:00” diDe Santis, “Il ladro delle biciclette” di De Sica, vincitore del premio Oscar. Di questo regista c’è anche il film “Il Tetto”, realizzato nel 1956. Mi viene in mente “Non c’è pace tra gli ulivi” (1950) di Giuseppe de Santis, in cui interpreta una delle più grandi attrici di quel periodo, Lucia Bosè. Invece nel “Riso Amaro” (1949), sempre di De Santis interpreta per la prima volta una delle stelle del cinema italiano, Silvana Mangano.
Il neorealismo è caratterizzato dalla semplicità e molti dei film sono girati in natura e da attori non professionisti. Da questo periodo sono diventate note l’attrice Gina Lollobrigida, Silvana Pampanini, Sophia Loren.
Per l’importazione dei film, inizialmente, ci siamo orientati verso l’Italia, la Francia e l’Inghilterra perché erano quelli più vicini alla nostra psicologia. Dal cinema francese ci sono alcuni rappresentanti diNouvelle Vague e da quello inglese principalmente film sulle opere dei grandi scrittori inglesi non censurati all’epoca, soprattutto le opere di Shakespeare, “Otello” e “Enrico V”. Sono entrati anche dei film interpretati dal grande attore inglese Lawrence Olivier.
E per quanto riguarda l’Est, considerando che il suo cinema veniva imposto?
Inizialmente, si importavano film sovietici. Il 90% delle pellicole provenivano dall’Unione Sovietica. La rottura delle relazioni con l’URSS ha causato un vuoto nel cinema e la vita artistica è diventata tiepida. Si rilevò un problema politico e fummo costretti ad importare di nuovo. Prima di tutto venivano le opere di scrittori e compositori ben noti. Ci sono film del regista russo, Grigori Chukhrai, che divenne molto noto anche nel Occidente con il film “La ballata di un soldato” (1959) e “Il Quarantunesimo” (1956). Ci sono anche di un altro regista Mikhail Kalatozov, o diversi film di noti compositori russi. La Cecoslovacchia e la Germania Democratica tiene il maggior numero di film importati, poi la Romania, Polonia e Ungheria. Quali sono le problematiche che affronta oggi l’Archivio?
Non abbiamo un museo del cinema, che bisogna creare con i costumi, la scenografia e altri requisiti. Può essere fatto solo da persone appassionate per lo studio, veri ricercatori, non da persone che considerano l’Archivio un impiego che le garantisce lo stipendio. Inoltre mancano le pubblicazioni. Devono essere raccolti e pubblicati tutti i materiali che rigurdano il cinema. Dovrebbero essere organizzati programmi mensili, ad esempio “La settimana del cinema francese”. I film non devono rimanere chiusi nei depositi, ma dovrebbero essere utilizzati da studenti, ricercatori e amanti del cinema. Bisognerebbe organizzare mostre fotografiche con i manifesti, le fotografie durante le prove, le apparecchiature usate durante le riprese, ecc. Le possibilità sono infinite.Il personaggio
Abaz Hoxha è nato a Valona, il 14 aprile 1930. Figlio di una famiglia patriota e antifascista, insieme ai fratelli più grandi ha partecipato dall’età di 13 anni alla resistenza partigiana. Laureato nel 1954 in ingegneria elettronica nella Repubblica Ceca, si è specializzato in tecnica di studio radio,tv e film nell’ambito dell’ottica e dell’acustica. Ha iniziato il lavoro come ingegnere del suono ma subito dopo è stato nominato capo ingegnere del Kinostudio (Cinecittà), mansione che ha coperto per 10 anni. Successivamente, dal 1965 al 1972, ha diretto il settore del Cinema, della traduzione e distribuzione dei film del Kinostudio. Invece dal 1973 al 1990 è stato Direttore dell’Archivio Nazionale del film di cui è anche il fondatore. Hoxha ha insegnato presso l’Accademia delle Arti di Tirana, l’Accademia del Film e Multimedia Marubi, e ha condotto studi nell’ambito della cinematografia, della tecnica e dell’archivistica. Inoltre è curatore dellaprima Enciclopedia delle Arti ed autore di oltre 20 pubblicazioni sulla cinematografia albanese e straniera. Tra questi: “Il film artistico albanese 1957-1984” (1987), “La Settima Arte in Albania, volume I 1900-1944” (1994), “L’enciclopedia della cinematografia albanese” (1999), “I 100 anni del cinema sul territorio albanese” (2002), “La cinematografia dei paesi scandinavi” (2002), “Noi ci siamo formati a Praga” (2003), ”
La cinematografia albanese 1985-2005, albanese-inglese” (2004), “La storia della cinematografia mondiale 1895-1945, I volume”(2005), “La Storia del Cinema in Albania, I volume, 1897-1944 (2007), “Alle tracce dei film per l’Albania” (2007), “Gli albanesi nella cinematografia mondiale” (2008).Intervista di Jorida Pasku. Pubblicato sul quotidiano Shekulli del 15 aprile 2010. Titolo originale “Arkivi i mbyllur”.
Tradotto per AlbaniaNews da Lejdi Dervishi.