Durante le Feste natalizie alcuni paesi arbëreshë che hanno perso il rito greco bizantino e acquisito il rito latino usano rappresentare la Santa Natività con bellissimi “Presepi viventi”.Fra canti e ninne nanne del cuore, sonorità dolcissime e antiche, evocative di un mondo contadino e pastorale di rara e poetica semplicità, viene rappresentata la nascita di Gesù Bambino. Silvana Licursi esprie nella sua lingua, così intrinsecamente musicale, un intero universo di valori umani e religiosi, che fanno costantemente riferimento alla sua terra e al suo antico mondo contadino. Canta di due mondi, quello delle origini albanesi e quello delle origini meridionali, di due identità umane e psicologiche, che si fondano in una sola: l’appartenenza comune al Sud del Mondo. Il suo è un sincretismo umano, musicale e religioso intriso di valori e storie, racconti e ninna nanne, lamenti e sentimenti, che diventano l’elegia di un mondo semplice e buono: il mondo delle origini mitiche degli Albanesi che si sono innestate e fuse nel mondo contadino meridionale, là dove sono state accolte e riconosciute come valore.
Silvana è espressione di questo mondo e di questi valori per affinità elettive, capacità espressive e vocali, ma soprattutto perché più di altri ha saputo coglierli e trasfigurarli, senza ridurre la sua musica all’ espressione folcloristica di una cultura subalterna e residuale, innalzandola invece a world music, a musica di contaminazione e trasmigrazione, di migranti e diaspore.La musica arbëreshe, con questa interprete, che si autodefinisce con ironia Cantantessa, dischiude il suo scrigno di saperi musicali e valoriali e dà il suo contributo essenziale tanto alla musica del mondo, quanto alla religiosità popolare e all’identità culturale del suo popolo.Superba, infatti, è la sua interpretazione quando affronta i temi della Diaspora del popolo italo-albanese. In brani come E Ikura (La Fuggitiva), quasi colta da una fascinazione estetica e musicale, risuona la saudade del Fado portoghese, la nost-algìa, il dolore per il ritorno negato.
Evocativa la Nina nana, in cui la sua voce conserva sfumature infantili, ma è calda ed avvolgente come quella di una madre che vuole riaccogliere dentro di sé il suo bambino, il suo popolo all’alba delle sue origini.
E’ suggestiva, invece quando canta, come in questo video, “cucito” come sempre dall’amica Rossella De Rosa, la sua Ninna nanna a Gesù Bambino, in cui la Madonna già presagisce il Getsemani di Gesù, l’Orto degli Ulivi, il suo destino, la Passione e Morte.
In questi pochi versi risuona tutto intero il mondo dei valori umani e religiosi dell’Arbëria. Questa è una ninna nanna insolita, molto speciale nel suo contenuto, scelta (tra le tante) da Silvana, per cantare la Natività di Gesù Bambino nella sua lingua antica per commentare musicalmente il “Presepe vivente” di Portocannone.https://www.youtube.com/watch?v=Ryy3E7hT3oQIl presepe di Greccio e il Babbo Natale della Coca Cola Le origini di questa Sacra rappresentazione sono antichissime e in qualche modo hanno a che fare con il pauperismo religioso di San Francesco. Il poverello di Assisi, dice la leggenda, di ritorno dalle Crociate, si fermò a Greccio, vicino Rieti, dove il 25 dicembre del 1223 volle rappresentare la Santa natività di Gesù Bambino. Rattristato perché gli pareva che il popolo intendesse il Natale solo come occasione di feste e banchetti e non come ricorrenza religiosa, volle “rappresentare” l’avvenimento del Natale, ricordando l’origine umilissima di nostro Signore. Nelle campagne di Greccio vi era una grotta usata da alcuni contadini come ricovero temporaneo per le bestie, e Francesco chiese di poterla utilizzare per rappresentare la Natività e la Sacra Famiglia. Dopo aver fatto collocare nella grotta un asino e un bue veri, chiese ad alcuni popolani di interpretare i personaggi di Maria, di Giuseppe e dei Pastori che per primi videro il Salvatore. Quella che doveva essere una “sacra rappresentazione” limitata alla Notte di Natale si ripeté invece per giorni e giorni, perché la voce di quanto aveva realizzato San Francesco si era sparsa con eccezionale rapidità, e dai paesi vicini si era mossa una moltitudine di persone che voleva vedere il “presepe”. Perché il nome “presepe”? Comunemente diciamo che Gesù è nato in una stalla, ma questo non è esatto. Il “praesepium”, di cui ci parla San Luca, era una costruzione destinata a riparo per i cavalli e le bestie da soma, dove si rifugiavano anche i viaggiatori quando non trovavano posto altrove. Il presepe, quindi, non ha niente a che fare con la cocacolizzazione della Natività, attraverso l’invenzione di figure come quella di Babbo Natale, il feticcio natalizio che, rappresentiamo così rubicondo e panciuto per via di una pubblicità della Coca Cola, che risale al 1931, pur avendo la sua origine storica e religiosa nella figura di San Nicola da Mira. Santa Klaus è in realtà San Nicolaus. Ma questa è un’altra storia. Poco arbëreshe. Silvana, invece, sa e canta i saperi e i valori dell’Arbëria.