Per riuscire a comprendere bene la storia dell’evoluzione della musica albanese, bisogna riuscire a comprendere al meglio il contesto nel quale si è trovata l’Albania nel dopoguerra.
Pian piano iniziò a divenire uno Stato comunista chiuso in sé stesso, non solo senza sbocchi verso l’esterno in termini di confini fisici (limitatissimi erano infatti i viaggi di piacere e lavoro che le persone potevano intraprendere fuori dai confini dello Stato; una piccola eccezione tuttavia si applicava verso i paesi di stampo comunista come Russia e Cina), ma anche e soprattutto isolato in termini di reperimento d’informazioni sulle altre realtà.
La cultura divenne asservita al potere, e gli esempi sono molteplici: per iniziare i giornali e i libri, scritti e revisionati regolarmente dal Partito del Lavoro; poi le canzoni, la più semplice forma d’intrattenimento per le masse a quell’epoca, le quali facevano da megafono alla propaganda comunista operata dallo Stato, con musiche popolari, balli tipici e voci ben riconoscibili. In ogni caso i cantanti nuovi che seguirono, erano solamente quelli “approvati” dal governo: da qui la musica leggera che contraddistingue anche adesso, nel 2009, molta dell’intera offerta musicale.
Più tardi arrivò il cinema e dopo poco la televisione, sebbene fossero per pochissimi, dato che per ragioni logistiche si trovavano nelle maggiori città, tenendo fuori le campagne e le città minori. Iniziò una forma culturale del tutto nuova che inglobava tutti gli altri medium in uno solo. S’incominciarono a vedere i primi film di propaganda, dalla trama sempre uguale, ossia quella della seconda guerra mondiale e dell’invasione nazifascista in Albania con conseguente liberazione e trionfo finale dell’unità nazionale. Questi film avevano la caratteristica di essere pieni di militari occupanti cattivi e spietati, e di partigiani sempre buonissimi. Alcuni esempi sono: Rrugicat qe kerkonin djell, Lulekuqet mbi mure, Mengjes lufte, Tingujt e luftes ecc… tutti finanziati dallo Stato.
Poi quasi di pari passo iniziarono a svilupparsi i cabaret e la commedia, con attori che son diventati simbolo dell’Albania che voleva ridere come Koço Devole, Sejfullah Myftari (“Cekja”) e molti altri.
Fino alla morte di Enver Hoxha, era un crimine punibile severamente l’ascoltare radio straniere o guardare canali televisivi esteri. Il sistema d’intelligence albanese era ben ramificato e la paura di esser scoperti era tanta. Però più alta invece era la curiosità degli albanesi, i quali con antenne di fortuna fabbricate con pezzi di latta e ferri vecchi, riuscivano in segreto ad aprirsi una finestra sul mondo che gli era stato proibito vedere fino ad allora. Così iniziarono a comparire le bellezze dell’Italia da una parte, e la musica delle radio estere dall’altra.
Qui lo snodo cruciale per riuscire a capire perché oggi la musica in Albania lasci a desiderare parecchio, e stia diventando una brutta fotocopia di quella occidentale.
Con l’arrivo del fatidico anno 1991 e la “rivoluzione” culturale, le pressioni degli intellettuali, dei giovani e di tutte le persone scese nelle piazze l’ebbero vinta, il Partito non resse senza il suo leader Enver Hoxha, morto sei anni prima, quindi in un clima di confusione iniziò la democratizzazione. Tralasciando i pericoli che questo cambiamento precoce comportava (i quali si sono puntualmente verificati dal 1997 con la speculazione aggressiva capitalista), finalmente e ufficialmente il popolo albanese aveva diritto di sintonizzare i propri mezzi di comunicazione verso i canali esteri, attingendo nuova cultura, tanta da farne overdose. La televisione portò un mondo edulcorato e fasullo, che fece innamorare molti tanto da spingere ad esodi di massa verso l’Italia e in minor parte verso la Grecia.
Quello che è importante capire però, avendo come background lo sviluppo musicale mondiale, è che gli anni ’90 stavano segnando la decadenza della musica rock e dei suoi derivati, per aprirsi al pop, alle boyband e ad una nuova musica emergente dagli Stati Uniti: il rap. Dunque non c’è da stupirsi se al giorno d’oggi in Albania il genere che va per la maggiore (tralasciando la musica leggera, travestita da pop italiano, fatta cantare a ragazze dalla voce candida e dalle forme sinuose sempre più in vista), sia dettato dagli sviluppi naturali (qui sono volutamente ironico) della musica mondiale.
Per farla breve, abbiamo ricevuto gli scarti di quarant’anni di sviluppo musicale mondiale e su questi ci stiamo ricalcando sopra quella che ora come ora dovrebbe essere la massima arte albanese.
Se togliamo pochissimi complessi musicali influenzati dall’hard rock di gruppi quali Scorpions, Megadeth, Ac/Dc, Rolling Stones ecc (i quali benché in netto tramonto, sono riusciti a trascinarsi abbastanza oltre gli anni ’90 da influenzare alcuni giovani musicisti che poi hanno continuato le loro orme, in netto contrasto con i gusti scelti dalla maggioranza degli albanesi e dunque per questo snobbati), non rimane praticamente nulla.
Come per tutto, anche per la musica, l’Albania ha sempre copiato da quando si è vista libera e senza più il guinzaglio che la teneva stretta. Ha inseguito, è andata dove andavano tutti, nella speranza di trovare un po’ di cibo.
L’originalità che ha sempre contraddistinto il nostro popolo si è scontrata con il capitalismo spietato. E io mi rammarico che una domanda semplice non è mai balzata nel cuore di nessuno.
Siamo davvero più liberi ora?
Autore: Mateo Çili