“Che la Romania sia stata scelta come ospite d’onore al Salone del Libro di Torino è segno della sua nuova posizione nel panorama culturale globale e rappresenta una grande speranza per il futuro”. Si è espresso così Norman Manea, famoso scrittore nato a Suceava che oggi vive negli Stati Uniti, uno dei tanti nomi prestigiosi della XXV edizione del Salone appena conclusasi, e di certo la presenza di questo Paese ci ha voluto comunicare qualcosa di importante.
Prima minoranza straniera in città con circa 80.000 rappresentanti, e oltre 135.000 in Piemonte, in questa primavera la Romania è protagonista assoluta del panorama culturale torinese: la settimana prima dell’apertura del Salone, infatti, il Cinema Massimo le ha dedicato un intero festival incentrato su tutti i nuovi nomi del cinema contemporaneo. “ROMANIA-ITALIA: il film romeno contemporaneo a Torino”, ospitando film rappresentativi per la cinematografia romena contemporanea, da Aurora di Cristi Puiu a A Est di Bucarest di Corneliu Porumboiu, da California Dreamin’ di Cristian Nemescu a Tuesday, After Christmas di Radu Muntean e molti altri, ci ha dato un’idea della spettacolare rinascita del cinema in questo Paese dopo la stasi degli anni ’90 (il teatro non è certamente da meno, e speriamo ci siano presto occasioni per poterlo apprezzare).
Al Salone del Libro, invece, la prova evidente di come la Romania si sia arricchita di case editrici e riviste culturali vivaci e istituzioni importanti come il Festival Enescu e lo stesso Istituto culturale rumeno, che in collaborazione con altri enti ha coordinato tutte le attività in programma. Tutti portavoce di una nuova stagione culturale, che ha saputo riprendersi piuttosto rapidamente dopo una censura durata decenni sotto un sistema dispotico che teneva sotto controllo ogni singola parola, con -com’è tipico di ogni dittatura- pressioni ideologiche e punizioni esemplari per i suoi artisti in caso “ce ne fosse bisogno”.
Il passato, che pure fa ancora sentire il suo peso com’è inevitabile che sia nei sentimenti ambivalenti di odio e amore, nostalgia e rivalsa del popolo rumeno: da questo passato sono nate nuove voci, nuovi temi e nuovi impulsi. L’intensificazione dei contatti con il mondo esterno, prima pressoché inesistenti o comunque assai limitati e controllati, la libertà di esprimersi finalmente a disposizione di chi ha qualcosa da dire, il generale cambiamento delle condizioni sociali ed economiche si sentono, e la nuova generazione di artisti ne è uno specchio incredibilmente eloquente. Al Salone abbiamo fatto conoscenza con traduttori, editori, professori, critici letterari, italianisti e ben 23 scrittori, da Norman Manea ad Ana Blandiana, da Dan Lungu a Mircea Cartarescu, da Rasvan Popescu a Gabriela Adamesteanu a Doina Rusti, per non citarne che alcuni. Un vastissimo programma di manifestazioni culturali coordinato dall’Istituto Culturale Romeno di Bucarest, tramite il Centro Nazionale del Libro e l’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, uno Stand nazionale del tutto innovativo e interattivo per rendere protagonisti pubblico e specialisti alla scoperta di un Paese di cui sappiamo ancora molto poco, se è vero che -come sottolinea giustamente Oana Patraucean, mediatrice culturale ricordando che «I torinesi ci considerano tutti badanti e muratori, o in alternativa delinquenti poco istruiti»- l’idea della Romania è ancora legata a doppio filo a una serie di pregiudizi ben radicati.
Il quadro che emerge da queste intense giornate è del tutto diverso, e ci spinge ad approfondire la conoscenza di una terra che intravediamo ricca di cultura e di nomi importanti, guru nella loro terra, spesso ancora sconosciuti ai più qui in Italia. E fiera dell’opportunità di potersi far conoscere -finalmente- in un contesto diverso da quello dell'”extracomunitario poco istruito” (quando la maggior parte delle persone vanta invece un titolo di studio, e la Romania fa parte della Ue da cinque anni), la comunità di Torino vuole ribaltare questi pregiudizi negativi, una volta per tutte. «C’è emozione e rabbia. Siamo ben oltre gli stereotipi con cui ci rappresentate. Lo dimostreremo facendovi conoscere la nostra arte, in questi giorni», commenta infatti Ioana Antoniu, professoressa di lingua rumena in varie scuole torinesi, esprimendo con le sue parole un sentimento comune a tutti i residenti nella nostra città: “semplicemente” integrazione, connubio fra conservazione delle proprie radici, diffusione di una cultura spesso ignota agli italiani e adattamento alla società ospite. Del resto, come ben evidenzia il presidente dell’Istituto rumeno di cultura, Horan-Roman Patapievici, l’intento non è quello di esportare la cultura del Paese, ma piuttosto di metterla a contatto con altre culture («a cominciare dall’Italia, aggiunge, con cui abbiamo un legame sentimentale profondo per la nostra appartenenza alla latinità»).«Ci sentiamo cittadini italiani, ma non vogliamo dimenticare la nostra storia. Siamo un pezzo della Comunità europea, l’estremità orientale della latinità», ci spiega infatti Lucian Rosu, parroco ortodosso della Chiesa Santa Croce, in piazza Carlina, che in vent’anni di permanenza a Torino ha visto crescere in modo esponenziale la sua comunità di fedeli. Torino, del resto, oggi è la città italiana che conta la presenza più nutrita di romeni: «È importante questo segnale di apertura culturale», continua Rosu, e in effetti la partecipazione della Romania come paese ospite al Salone del Libro mira proprio a segnare un momento importante nella promozione della cultura rumena in Italia.
Roberto Merlo, docente e ricercatore di Letteratura rumena all’Università di Torino, sottolinea infatti gli sforzi che si stanno facendo negli ultimi anni per investire sulla cultura rumena e sulla sua immagine fuori dai confini nazionali, anche se nota come spesso -suo malgrado, è evidente- la comunità sia poco partecipe alle attività che dovrebbero destarne maggiormente l’interesse: ci spiega appunto come «spesso le iniziative culturali promosse dalla Romania e dalle molte associazioni, che pure sono di alto livello, non riescono ad arrivare a un grande pubblico di immigrati che dedica la sua vita al lavoro e ha poco tempo per altro.»Il ricco e interessante programma del Salone, ad ogni modo, è riuscito a coinvolgere tutti, pubblico rumeno certamente ma anche pubblico torinese in generale. Le presenze, infatti, quest’anno hanno superato di gran lunga quelle delle edizioni precedenti, e speriamo che questi cinque intensi giorni di dibattiti, letture, tavole rotonde e numerosissime attività abbiano quantomeno seminato curiosità autentica e scevra da idee preconcette su un Paese a noi sempre più vicino. Fra radici latine e religiosità orientale, lo sguardo della Romania è ora più che mai rivolto a occidente, con talenti di grande maestria che meritano di essere ascoltati e seguiti, se cent’anni fa come ancora oggi risulta attuale un pensiero del grande musicista George Enescu:”Se il governo e la politica della Romania raggiungessero il livello della nostra vita artistica, potremmo considerarci uno dei Paesi più felici al mondo”