Ci sono ancora molte spiagge in Croazia che ti ricordano le spiagge dell’ex Albania. Spiagge che la mano dell’uomo “moderno” non ha ancora trasformato in asfalto e cemento
La partenza
Sull’isola di Krk, Baška (Bashka), ascolto musica sdraiato in riva al mare quando una donna si avvicina a me e parla in croato “Dobar dan!” Rispondo con un “Dobar dan!” E poi parlo italiano, la prima lingua che parlo naturalmente fuori dall’Albania. Ha in mano qualche guida turistica e inizia subito a parlare ininterrotamente:
“Desideri visitare tre splendide isole del mare Adriatico? Partiremo in nave da Baška, dove inizieremo la passeggiata giornaliera godendoci il panorama dell’isola di Sveti Grgur, nota per la sua ex prigione femminile. In seguito sbarcheremmo sull’isola di Goli Otok, dove ognuno di noi potrà trascorrere il tempo libero secondo le sue volontà; per visitare i luoghi più interessanti dell’isola con una guida esperta. L’isola è conosciuta come ex prigione politica. Dopo pranzo a bordo della nave pirata partiremo per Rab. Lì visiteremo la bellissima spiaggia di San Marino dove scopriremo perché è spesso chiamata “Paradise Beach” e perché è stata inclusa nella lista delle 100 spiagge più belle del mondo! Ci rinfrescheremo nel mare cristallino di Paradise Beach e ci divertiremo sotto i dolci raggi del sole. Vieni con noi, facciamo questo meraviglioso viaggio e scopriamo la bellezza delle isole adriatiche! “.
Che meraviglia ho detto … anche se in tutto il messaggio di questa persona, ho ricordato solo le belle frasi omettendo o escludendo inconsciamente “Sveti Grgur, noto per l’ex carcere femminile” e “Goli Otok …. L’isola è conosciuta come un’ex prigione politica”…
Il giorno successivo, 30 minuti prima della partenza, mi sono presentato impaziente al molo e dopo essere salito a bordo mi sono seduto sulla poppa della nave, per non perdere nessun dettaglio di questo viaggio che avrebbe dovuto essere il “miracolo” promesso dalla guida turistica. Dopo circa 40 minuti di viaggio siamo arrivati a Goli Otok, la guida spiega che questo non è un luogo turistico ma un luogo storico. All’istante mi sono tornate in mente quelle due frasi che all’inizio non avevo ricordato: “Sveti Grgur, noto per essere l’ex carcere femminile” e “Goli Otok …. L’isola è conosciuta come un’ex prigione politica”…
Lo sbarco a Goli Otok
Fu solo dopo aver visto gli ex edifici della prigione di fronte a me, che riuscii a capire dove fossi. All’inizio ho pensato di staccarmi e non vedere nulla:
“Sono qui per trascorrere le mie vacanze e non per vedere e ascoltare gli orrori del comunismo titino”, forse la curiosità, forse chi sa perché: Ci sono alcuni luoghi che non hanno bisogno di targhe commemorative, luoghi in cui ciò che è accaduto qualche anno fa cerca di uscire dalle pareti e dalle pietre che sembrano che si affaticano per portare alla luce le storie che hanno visto. Storie che si accollano sulla tua pelle, ti entrano con la forza nell’anima e ti creano un nodo in gola.
Anche se dopo tanti anni la pioggia ha lavato via il sangue dalle pietre, le parole non dette e i gemiti rimangono inchiodati alle pareti, in attesa di essere raccontati, in attesa di essere ascoltati: resta l’unico conforto di quegli esseri umani che avevano come unica colpa quella di aver “pensato diversamente”, e alcuni hanno avuto il coraggio di esprimere opinioni contrarie al regime di quel tempo.
«Goli Otok (isola nuda) è situata sulle rive della Dalmazia settentrionale, nel mezzo dell’Adriatico, come una fortezza naturale di spaventosa bellezza. Tra il 1949 e il 1956 fu uno dei gulag più terrificanti d’Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale. L’isola- prigione fu utilizzata nella Jugoslavia comunista per isolare i nemici del sistema. Goli Otok (isola nuda) era destinato solo agli uomini; mentre le donne venivano internate nella vicina isola di San Gregorio (Sveti Grgur in croato). La prigione femminile è stata successivamente trasferita a Goli Otok e molte di queste donne venivano portate al locale delle guardie per “intrattenerli”.
Oggi, in relazione a quanto accaduto a Goli Otok, rimangono le testimonianze degli ex detenuti sopravvissuti e dei loro discendenti”, inizia il suo racconto la sua guida turistica:”
Simone Cristicchi, nel suo articolo”Goli Otok, il lager dimenticato di Tito ” ha raccolto alcune testimonianze da ex prigionieri di quel periodo.” La guida indica un posto di fronte a noi: “Qui due file di prigionieri di fronte a una serie di baracche hanno creato quello che è stato chiamato “stroj” (il sentiero): era il saluto dell’accoglienza nell’isola dei maledetti. I nuovi arrivati dovevano attraversare due file di prigionieri, i quali colpivano forte con calci e pugni, sfigurando i nuovi detenuti fino a quando non potevano più essere riconosciuti. Nessuno poteva attraversare il “sentiero” fino alla fine: dopo poche decine di metri, cadeva a terra, sfinito dalle percosse. La cosa più sorprendente è che non erano le guardie che picchiavano, ma i prigionieri stessi: cioè, i “vecchi” prigionieri dimostravano alle guardie che la loro “rieducazione” era completa. Prigionieri che erano stati trasformati in carnefici di altri prigionieri. Gli agenti dell’UDB (I Servizi Segreti Jugoslavi) controllavano accuratamente in modo che tutti fossero picchiati con adeguata violenza. Altrimenti “i vecchi” si sarebbero uniti alla “nuova banda” e sarebbero stati picchiati da altri prigionieri. Ogni volta che un nuovo gruppo di prigionieri arrivava sull’isola, le guardie organizzavano un “passaggio” in cui i vecchi prigionieri picchiavano i nuovi arrivati per autosalvarsi dal massacro.
Le storie dei prigionieri nell’isola dei dannati
Il dittatore comunista jugoslavo Josip Broz Tito esiliava i suoi avversari politici bloccandoli in questa sterile cava in mezzo al mare, lo stesso faceva anche con quelli verso i quali aveva il minimo sospetto: tra loro c’erano un gran numero dei suoi commilitoni, di ufficiali, generali, ex partigiani e con loro il 90% degli intellettuali di una nazione come studenti, giornalisti, professori, scrittori, ecc.
Nel giugno del 1948, quando i rapporti tra la Jugoslavia di Tito e l’Unione Sovietica di Stalin si interruppero, Mosca accusò il governo di Belgrado di “deviazione nazionalista”, due parti opposte emersero in Jugoslavia: da un lato, i comunisti che solidarizzavano con Tito; e dall’altra parte quelli che avevano scelto di rimanere fedeli alla linea politica del Cremlino.
Durante questo periodo, l’Albania e la Jugoslavia erano due stati amici, con due popoli fraterni. Il 9 luglio 1946 fu firmato a Tirana, il Trattato di Amicizia e di Aiuto Reciproco tra l’Albania e la Jugoslavia.
Era l’UDB (I Servizi Segreti Jugoslavi) incaricata di identificare e attaccare gli avversari del regime, accusandoli di essere “nemici del popolo”, anche se potevano aver detto solo una parola in più, la cosiddetta “agitazione e propaganda” contro il sistema, o solo perché avevano espresso piccole insoddisfazioni nei confronti del regime. Molte persone non hanno mai capito il motivo della loro punizione. Queste persone hanno avuto una fine amara e improvvisa, le loro vite e quelle delle loro famiglie sono state distrutte dall’oggi al domani. Dopo la denuncia di un conoscente o di un amico e in seguito di un falso processo, le porte dei campi di rieducazione, come venivano allora chiamati, furono aperte a tutti i “traditori”.
Ancor’oggi nel campo di concentramento di Goli Otok, la cui esistenza era sconosciuta fino a pochi anni fa, la bora flagella con polvere e sale la superficie di tutta l’isola e non lascia crescere nemmeno l’erba, tra le rovine del carcere e le baracche che ospitavano oltre 30.000 detenuti, la maggior parte dei quali erano comunisti che furono torturati da altri comunisti. Secondo la commissione dell’associazione croata degli ex detenuti “Ante Zemljar”, più di 16.000 persone sono state torturate nel modo più crudele possibile e altre 446 sono morte a causa della “rieducazione”. Secondo il ricercatore Giacomo Scotti, circa 300 italiani furono imprigionati sull’isola; mentre secondo lo storico croato Martin Previsic, c’erano circa 350 albanesi tra i prigionieri.
Inizialmente c’erano ventiquattro baracche sull’isola. In ognuno c’erano duecento prigionieri che dormivano su assi di legna in queste impalcature a tre piani, stretti dentro come delle sardine e dove potevano sdraiarsi solo su un lato. Sull’isola, i detenuti furono costretti a trasportare pietre pesanti da un’estremità all’altra, senza nessun motivo o beneficio: era solo una tecnica per schiacciare fisicamente e spiritualmente i detenuti. 8-10 ore al giorno, al sole o sotto la pioggia, bagnati con l’acqua salata del mare, ma la peggior tortura era la fame. Una fame nera che non li lasciava tranquilli e li faceva perdere la ragione, portando al più completo degrado umano: senza coscienza, senza moderazione, senza rispetto di sé.
Sull’isola il sadismo era normale e i più crudeli punivano i loro compagni, diventando così più potenti e più rispettati. I responsabili di quelle torture non furono mai puniti per i loro abusi e crimini. Un’altra tortura fu: i prigionieri dovevano stare in piedi sotto i raggi ardenti del sole estivo per far ombra ai pini appena piantati, muovendosi attorno all’albero secondo i movimenti del sole. A causa della mancanza delle vitamine, le gambe dei prigionieri si gonfiavano e col tempo le falangi delle dita si cancrenizzavano.
Molti sono morti di fame o dissenteria, altri di tifo, epatite, distrofia o sotto il sole cuocente. Spesso i cadaveri non venivano seppelliti ma scaricati direttamente nel mare. Mario Quarantotto, di Rovigno, è stato ucciso in un pestaggio selvaggio dopo essere tornato per la seconda volta sull’isola – lager. Nei ricordi dei detenuti che lo hanno conosciuto, Mario si era rifiutato di indossare la camicia nera, il marchio riservato ai “non sottomessi”. La sua famiglia non ha mai ricevuto notizie sul suo cadavere o sul luogo della sua sepoltura: solo un documento che prova che “è morto a causa del sole battente”. A volte, poiché si opponevano a una regola o semplicemente perché venivano spiati dagli amici, i prigionieri venivano puniti con un “boicottaggio”.
Questa era la cosa peggiore che potesse accadere, dato che i lavori più pesanti venivano assegnati ai boicottatori. Era indispensabile lavorare con un altro prigioniero, il cui compito era quello di agire come un carnefice. Il lavoro doveva essere svolto in fretta, senza interruzioni, con le gambe protette solo da un pezzo di copertone legato con un fil di ferro. Ogni sera i boicottatori dovevano attraversare lo “stroj” (il sentiero) formato dai prigionieri della loro baracca e ricevevano la dose giornaliera di percosse. Prima di addormentarsi, il carnefice designato immergeva la testa del boicottatore nell’orinatoio della baracca.
Questo tipo di inferno poteva continuare per mesi. Pochi prigionieri riuscivano a sopravvivere.”Ho subito molti boicottaggi a Goli Otok, non ricordo nemmeno quanti”, ha testimoniato Ratko Radosevic. “Soprattutto all’inizio non ho capito il motivo. Con i miei compatrioti, che erano arrivati prima di me, esprimevo la mia frustrazione raccontandoli la mia sofferenza e la mia disperazione. Mi ascoltavano, mi davano consigli sulle regole del campo e su come comportarmi, ma dopo un po’ venivo ugualmente condannato al boicottaggio …
Mi sembrava improbabile che i miei compagni di sventure potessero andare dalle guardie per denunciare tutto. Poi, col tempo, mi sono reso conto che erano loro le spie. Se non mi avessero spiato, avrebbero a loro volta subito il boicottaggio. Siamo stati costretti a spiare gli amici e far rapporto agli ufficiali dell’UDB, riferendo tutto ciò che avevamo sentito, addirittura qualsiasi espressione di delusione. Se non sentivamo nulla, allora inventavamo su qualcuno a caso, ancor meglio se su parenti o amici che erano ancora in libertà. Le guardie ci avevano trasformato in un esercito di spie, spie l’una contro l’altra, quindi non potevamo più fidarci di nessuno.
Eravamo completamente soli, soli contro tutti. Dopo alcuni mesi e i primi boicottaggi pesavo 43 chili, mi ero trasformato in uno scheletro. Proprio come le ombre nei film che abbiamo visto così tante volte in televisione, quando confessano le atrocità di Auschwitz. Eravamo spettri, malnutriti, con corpi e anime rovinate. Anche star seduti era un grosso problema perché le ossa erano coperte solo di pelle. Ma ciò che rese particolare quel campo di concentramento non fu l’annientamento fisico tanto quanto quello morale.
Tutti, me compreso, pensavamo che il suicidio fosse una possibile via d’uscita da quell’inferno. Un atto estremo di liberazione. Ma a Goli Otok, persino la morte era un sogno irrealizzabile, poiché la sorveglianza era severa. Ci hanno tenuti in vita abbastanza a lungo da farci soffrire quell’incubo, solo per il piacere di torturarci … ”.
La Prigione
Darko Bavoljak, l’attuale presidente dell’ associazione “Ante Zemljar” e autore di un documentario su Goli Otok, sottolinea: “I gulag sovietici, la violenza fisica e psicologica dei campi di concentramento nazisti, questo metodo perverso insieme alla naturale crudeltà sono stati i fattori che hanno reso l’isola una fabbrica di terrore in cui la dignità di una persona non aveva nessun valore: una scena di crimini disumani e di fantasmi che appaiono ancora oggi di fronte alla platea della Storia. ” Tra le altre cose, Darko racconta ciò che resta del famigerato reparto “R-101”, il temuto campo all’interno dell’isola: una sorta di prigione dentro la prigione riservata ai detenuti più resistenti alla rieducazione che meritavano un trattamento particolarmente violento. L’R-101 è una prigione profonda 8 metri e mezzo e larga 25, dentro potevano starci circa 20 detenuti in totale isolamento, dove tra la tortura e il lavoro forzato i prigionieri morivano e chi sopravviveva non poteva evitare la follia. Un silenzio tombale ha deliberatamente coperto questa vergogna. Un silenzio durato diversi decenni, che si è concluso solo intorno agli anni ’90 del secolo scorso. Con la disintegrazione dell’ex Jugoslavia e la caduta del muro di Berlino, alcuni testimoni iniziarono a raccontare l’orrore vissuto sull’isola dei dannati. Nel 1980 la canzone di Zdravko Čolic – Druže Tito, mi ti se kunemo, ebbe un grande successo: ” Druže Tito, mi ti se kunemo / da sa tvoga puta ne skrenemo!” (Compagno Tito, noi ti giuriamo / seguiremo sempre la tua strada!) Giacomo Scotti, giornalista e scrittore residente a Fiume dal 1947, fu il primo a raccogliere le testimonianze dei sopravvissuti, pubblicandole sulle pagine de “La Voce del Popolo” e poi nel libro – reportage “Ritorno all’Isola Calva”, pubblicato in Italia nel 1991, che a quel tempo suscitò molto clamore e molto interesse tra i lettori. Nelle sue memorie Sergio Borme scrive: “Era il 1950, quando l’Europa si era lasciata alle spalle gli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Vivevamo ancora nelle stesse condizioni di un lager nazista. Il rilascio è arrivato all’improvviso un giorno, un giorno come quelli che avevo trascorso a Goli Otok dopo tre anni e tre mesi di prigionia. La felicità immediata è stata sostituita dalla una tristezza infinita per l’abisso morale in cui ero caduto. ”
Ritorna alla libertà
I figli degli internati oggi conservano vecchie fotografie in bianco e nero, frammenti di lettere, manoscritti e alcuni articoli di giornale: i memorandum che raccontano durante le interviste, mentre cercano le parole giuste per raccontare il dramma delle loro famiglie per sempre devastate. Da Buie a Zagabria, da Pola a Fiume, la stessa espressione malinconica nei loro occhi, la stessa agonia durante i tristi ricordi dei loro padri. Irene Mestrovich, la figlia di Gino Kmet, confessa che anche quando è tornata a Fiume, il dramma di suo padre è continuato: la famiglia e i vecchi amici l’hanno evitato come la peste, in seguito è stato cacciato da casa: in assoluta miseria cercava disperato un lavoro per consentirgli di mantenere la sua famiglia. Ma di Goli Otok non disse una parola: prima di essere rilasciato, i prigionieri dovevano firmare una dichiarazione impegnandosi a non dire a nessuno quello che avevano passato. Quindi Gino non ne ha mai parlato con i suoi figli: raccontava di essere stato un buon meccanico e che aveva deciso di lavorare in un’officina, evitando così l’orrore di raccontare la storia. Fu solo dopo la morte di Tito che Gino iniziò a frequentare gli ex amici detenuti, impegnandosi a far conoscere questa storia, anche se per tutta la vita non parlò mai di politica per paura di essere spiato.Questa paura non era priva di fondamento: dice Jasmina Bavolcav, figlia di un ex detenuto croato, perché quando l’archivio UDB fu aperto nel 1995 trovò il dossier di suo padre e per coincidenza trovò anche un dossier con il suo nome: “Fu uno shock terribile per me quando scoprii di essere stata seguita e spiata fino al 1970.”
Ciò che rimane oggi
Dolores Barnaba, di Buie, testimonia:“Mio padre, Emilio Tomaz, spesso raccontava l’episodio di uno sloveno legato a un pilastro, mentre tutti gli altri dovevano passare di fronte a lui e sputargli: verso la fine il colore della sua pelle non si poteva più distinguere. Dopo essere ritorno a Montona, gli informatori dell’UDB spesso tornavano a casa e gli ponevano domande: controllandolo costantemente, fino agli anni ’60. Oggi, quando viaggio lungo la costa, ogni volta che guardo quell’isola, mi viene spesso un nodo in gola, perché durante l’infanzia abbiamo vissuto le conseguenze di questa disgrazia: ricordo che quando ero bambina, mio padre aveva incubi durante la notte, urlava e grattava i muri con le unghie». Biancastella, figlia di Licio Zanini, ex prigioniero e autore del bellissimo libro “Martin Muma”, ha lavorato a Radio Rai a Trieste per 40 anni, dedicando gran parte delle sue trasmissioni alla commemorazione di Goli Otok e intervistando i sopravvissuti come suo padre. “Mio padre, dopo la mia nascita, disse: ‘Battezzerò mia figlia Stella Bianca, perché dopo quello che ho passato non credo più nella stella rossa’”. “I nostri genitori per tanti anni sono stati isolati dalla società e abbandonati anche dai loro amici più cari. A volte mi chiedo quale sia il testamento lasciato dalle persone che hanno vissuto una simile tragedia. Oltre a scoprire cosa è successo in quegli anni, penso che possa servire a ricordarci cosa significa essere liberi e quanto dolore è costato a quelle persone l’aspirazione alla libertà “. In estate, oggi, l’Isola Nuda è la destinazione di migliaia di nave e turisti attratti dalla sua aspra bellezza; forse è per questo che si è pensato di trasformare il campo di concentramento in un resort di lusso. Questa idea non piace affatto ai sopravvissuti che hanno visto distruggere parte della loro vita su quell’isola; i sopravvissuti e figli di coloro che sono morti sull’isola stanno lavorando per preservare la memoria di Goli Otok, come Furio Radin, che rappresenta la minoranza italiana nel parlamento croato.
Cosa possiamo vedere oggi a Goli Otok?
Solo abitazioni semi-fatiscenti, edifici fatiscenti e non sicuri, rovinati dal sale. La natura e la disattenzione umana hanno trasformato quello che doveva essere un sito commemorativo in un cimitero abbandonato pieno di rifiuti di ferro, legno e di cemento. Dieci anni fa, la Commissione per i Diritti Umani del Parlamento Croato iniziò ad occuparsi di un Memoriale sull’isola, cosa fortemente richiesta dall’associazione degli ex internati. Ma finora è stato fatto molto poco: purtroppo la politica croata preferisce ancora di non parlare di questo posto …
Epilogo
Il fascino del crimine, per ciò che è “macabro”, ha preso slancio negli ultimi anni, aumentando notevolmente il livello del pubblico che segue con molto interesse le notizie catastrofiche. (Di cosa servono le notizie catastrofiche? – Il pensiero critico di un cittadino, G. Bakalli).
Come in uno spettacolo quasi surreale, fenomeni come il turismo dark e il turismo horror sono cresciuti in modo esponenziale. Vengono organizzati veri e propri viaggi per “visitare” i luoghi in cui si sono verificate grandi tragedie. Ad esempio, lager (campi di concentramento nazisti), gulag (campi di concentramento russi), musei ad hoc a tema horror come i musei di tortura, ecc.
Quindi, se siamo affascinati dal crimine, e dall’orrore, i media ci spingono a diventare ancora più appassionati. Ma da dove viene questo fascino per il crimine, per il lato oscuro dello spirito umano, per gli omicidi brutali e le tragedie? Alcuni psichiatri famosi pensano che il male sia dentro di noi in un modo molto simile: ciò che distingue un criminale o “psicopatico” dalle persone normali è che lo psicopatico mette all’opera il male durante la vita, mentre le persone semplici e normali solo sognano o immaginano il male. Come possiamo non parlare della morte, la protagonista oscura della maggior parte di questi eventi che ci attraggono così tanto? La fine del mondo, la fine di tutto.
Non c’è niente di più sicuro nella vita che l’esistenza della morte, ma nello stesso tempo anche più sconosciuta. Infine, chi è quello che è sfuggito alla morte? Chi può assicurarci che la morte non ci fa tanto male o dirci se c’è un posto meraviglioso o terribile che ci aspetta? L’Inferno, il Paradiso o la Reincarnazione?
Essere-nulla-il vuoto: questo è ciò che spaventa la maggior parte dell’umanità. È molto probabile che questa paura della morte possa anche farci affascinare dal crimine: d’altra parte, è un modo per avvicinarsi, vederlo, osservarlo e studiarlo. Per rendere la morte un po’ più nostra, per “conoscerla” di più, perché nel profondo di noi ci rendiamo conto che prima o poi quella cosa accadrà anche a noi. Non come quella tragedia di cui sopra, speriamo. O almeno non in quella forma e in quei modi.
Referenze
- L’Isola Nuda
- Giacomo Scotti e il Gulag in mezzo al mare
- Previshiq: Në Goli Otok vuajtën dënimin edhe 350 shqiptarë
- L’isola Calva: il Gulag dimenticato di Tito
- Goli Otok, il lager dimenticato di Tito
- Goli Otok, viaggio nell’isola dei dannati, lager di Tito
- Marrëdhëniet shqiptaro-jugosllave 1945-1948
- Fjalimi i E. Hoxhës ndaj Jugosllavisë dhe Titos
- Gita in barca a Goli Otok – Grgur
- Leonora Baska, Goli Otok