Non la stiamo inventando perché è ciò che salta nell’occhio quando leggiamo i commenti sui nostri articoli, o nella nostra comunità social.
Quando l’Albania non era toccata ancora da coronavirus l’invito rivolto a tutti era quello di lasciare in pace l’Albania, pensando alla fragilità del sistema sanitario del paese.
È arrivata anche là e gli albanesi che vivono in Italia vivono la situazione con apprensione. Là hanno lasciato i familiari che spesso sono in età avanzata. E la nostalgia si mischia con la preoccupazione.
Nel frattempo contano i morti in Italia, sventolano la bandiera italiana e cantano sui balconi assieme agli italiani. Hanno scoperto che nonostante il sistema sanitario italiano fosse impeccabile, la morte non ha perdonato.
Quindi hanno conservato una carezza anche per il paese in cui vivono, lavorano e a tratti soffrono.
Eh gli albanesi!
Vedono l’Italia è l’Albania in questa situazione e ricordano il loro vecchio detto ”qua duole, la brucia” ma non si arrendano. Hanno passato tempi peggiori e alcuni se le ricordano bene. In fin dei conti ci voleva il virus a convincerli che oramai sono integrati e non appartengono più ad un solo paese, perché sono nel limbo “qua i figli, là i genitori”.
Si confondono radici e rami, dolori e piaceri, sogni e realtà, vecchie abitudini e nuovi comportamenti. Si confondono persino i colori delle bandiere anche se l’aquila prevale e non tanto come segno di nazionalismo sfrenato, ma della necessità di proteggere una patria fragile come la goccia della rugiada.
Passeremo anche questa sciagura insieme agli italiani, ma per gli albanesi la domanda resta “quale è la mia patria?” Avremo tempo per la risposta.
Discussione su questo articolo