[ Eminenti Personalità Arbëreshë degli ultimi quattro secoli (3°) ]
Spigolature biografiche “proibite” riguardanti un celeberrimo italo-albanese nel 75° anniversario della morte: Antonio Gramsci.
Il 27 aprile 1937 moriva, a Roma, un grande esponente del pensiero filosofico, del giornalismo e della politica: Antonio Gramsci (Ndòni Nëgramëshìut), sardo ma di schiettissime origini arbëreshë! Fondatore ed anima primigenia del Movimento Comunista Italiano, lasciò pregevolissimi scritti, pur viziati (secondo il giudizio di alcuni studiosi) da una visione alquanto particolaristica e periferica della Storia nonché della società italiana. Noi, invece, osiamo affermare che l’illustre filosofo e rivoluzionario arbëresh ha sicuramente permeato di sé, al pari di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile, la cultura italiana (con significativi riverberi anche europei) del secolo XX. Una brevissima digressione. È doveroso ricordare che siamo tutti dei poveri mortali. Pertanto anche i giganti della cultura possono essere, a volte, prigionieri di una loro (seppure momentanea) défaillance comportamentale intrisa di cinismi, narcisismi, invidie, meschinità e quant’altro!
Citiamo, ad esempio, il caso del nostro Antonio Gramsci. Sappiamo che si spense (clinica romana “Quisisana”) nell’isolamento ideale più completo. Neppure dai comunisti che gli erano compagni di carcere era riuscito a farsi intendere, e taluno l’aveva anzi accusato di opportunismo e di abbandono della causa; non mosso a ciò da fanatismo, ma da letterale fedeltà alla linea sancita dal Sesto Congresso Mondiale dell’Internazionale Comunista effettivamente lontanissima da quella gramsciana.
Come risulta dalla lettera alla cognata Tatiana Shucht del 3 settembre 1933, questa incapacità di comunicare, questa impressione di essere abbandonato dai suoi, aveva influito sul peggioramento delle sue condizioni di salute almeno altrettanto, se non più delle durezze della vita di recluso. Abbiamo visto che il mondo giornalistico e politico della Sinistra italiana ha celebrato, nove anni fa, due ottantesimi importanti. Il primo concerneva la nascita (12 febbraio 1924) del quotidiano comunista L’UNITÀ, l’altro l’elezione (6 aprile 1924) a Deputato del Regno d’Italia di Antonio Gramsci. Noi, invece, (eternamente “irretiti” dalla Verità storica e rosi dal tarlo di evidenziare, a tutti i costi, i fatti nudi e crudi!) intendiamo ricordare in altro modo questo illustre figlio arbëresh della Sardegna. Desideriamo, in ultima analisi, rendere edotti i nostri lettori circa alcuni punti emblematici e poco noti, volutamente negletti o minimizzati dalla maggior parte degli studiosi e biografi di Gramsci.
1° – UN IMPIETOSO E TERRIBILE “J’ACCUSE!” /// Nel dicembre 1937 in un articolo di Ezio Taddei (esponente della diaspora intellettuale antimussoliniana), comparso su un giornale antifascista americano, parlando dei comunisti nelle galere fasciste, si afferma: «Là essi hanno visto Roveda (1), che era della Centrale, comprare l’olio e il lardo rubato in cucina ai detenuti. Là hanno conosciuto Gramsci, dominatore e dominante, geloso della sua posizione; e a Turi di Bari sono rimasti perplessi, quando hanno visto che quelli con i quali Gramsci non andava d’accordo venivano trsferiti dalla casa di salute in una reclusione ordinaria. Gramsci, avaro taccagno, nutrirsi di pasticcini, mentre gli altri crepavano! Uno di loro, un umile, povero operaio, moribondo nell’infermeria: Gramsci gli manda… un fiore. L’operaio grida nell’ultimo rantolo: “È rosso, ma l’ha toccato quella carogna… Buttalo nel bugliolo!”. È vero Lisa (2)? Là Gramsci ha sputacchiato Grieco (3) per gelosia. Là i giovani hanno saputo che il Fascismo non aveva nulla da temere dal Partito Comunista Italiano, perché Togliatti (4) giocava la doppia partita. Ogni processo è una sorpresa per i giovani. Chi è che parla? Il capo, il funzionario! Lui, lo stipendiato! E, dopo aver fatto la spia davanti al Tribunale Speciale, nella reclusione continua a fare il padrone». Fin qui le parole al vetriolo di Taddei! A questo punto saremmo tentati di proferire un “no comment” perentorio, ma non è possibile. Con sincera ed infinita amarezza dobbiamo rilevare che la figura di Antonio Gramsci, come si evince chiaramente, esce alquanto malconcia da queste tremende rivelazioni. I comunisti, nondimeno, tenteranno (a partire dal giorno della sua morte) pervicacemente di farne una specie di “santo” del Bolscevismo, una vittima del Regime fascista, mentre la realtà è che Gramsci, dopo un breve periodo di permanenza nel reclusorio di Turi, ebbe la concessione di vivere in cliniche semiprivate o completamente private. E morì di malattia, non di piombo, come succedeva ai generali, ai diplomatici, ai gerarchi comunisti dell’Unione Sovietica, quando dissentivano (anche un poco) da Jòsif Vissariònoviç Dzugashvìli (alias “Stalin”) e come sarebbe accaduto a Gramsci stesso se fosse andato a Mosca!
2° – IL DRAMMA DI CHIAMARSI GRAMSCI /// Ventidue anni fa, quando cadde il centenario della sua nascita (Antonio Gramsci vide la luce ad Ales, nell’attuale provincia di Oristano, il 22 gennaio 1891, molti, come di prammatica, ricordarono il suo pensiero e la sua vita travagliata, i suoi difficili rapporti con il Partito Comunista Italiano (leggi: Togliatti!) e la sua detenzione nelle carceri fasciste. Nessuno ebbe, però, il coraggio di riesumare dalle brume del passato una storia familiare del nostro Nino (così Gramsci veniva chiamato in famiglia) che non poco peso avrebbe avuto nella vita del grande pensatore arbëresh. È la storia parallela di un fratello minore di Antonio, che ebbe la sventura di vestire la camicia nera! Si chiamava MARIO ed aveva due anni meno del fratello. Aveva combattuto nella Prima Guerra Mondiale con i gradi di sottotenente. Dopo la fine del conflitto sposa una ragazza dell’aristocrazia varesina, Anna MAFFEI PARRAVICINI. Aderisce al Movimento Fascista e diventa il primo Segretario Federale fascista di Varese. Invano Antonio Gramsci cercò di scoraggiarlo dal suo impegno. Non lo dissuasero nemmeno le bastonate dei compagni di suo fratello, che lo aggredirono e colpirono a sangue. Mario Gramsci non mancò tuttavia di aiutare il fratello, in difficoltà con la “giustizia” del Regime. Mario partì volontario per la guerra d’Abissinia (ottobre 1935) e poi combattè in Africa (Seconda Guerra Mondiale). Aderì alla REPUBBLICA SOCIALE ITALIANA, fu fatto prigioniero e deportato in Australia. Rientrò, in Italia, nel 1945 con la morte nel petto. E difatti morì subito dopo il rimpatrio, per le malattie contratte e le angherie subite durante la prigionia. Morì in un ospedale di terz’ordine, obliàto da tutti. Nessuno può dimenticare la dura sorte capitata ad Antonio Gramsci. Ma Antonio Gramsci, vittima del Fascismo, finì i suoi giorni assistito e amnistiato, ormai libero cittadino, curato in una grande clinica romana per conto dello Stato italiano, per una malattia che si portava dentro fin dall’infanzia. Mario Gramsci, invece, finì i suoi giorni malamente, per malattie contratte in campo di concentramento. Nessuno pretende che Mario Gramsci sia ricordato alla stessa stregua del suo fratello maggiore, che ha contato non poco nella storia italiana. Ma in Mario Gramsci si possono ricordare i fratelli minori non solo in senso anagrafico, di un’Italia minore che fu dalla parte sbagliata. Ricordarlo non guasta se siamo fratelli d’Italia non per modo di dire.
3° – VENTICINQUE APRILE 1997 /// Piero Pierini, primo cittadino di Bagnone (Massa Carrara), unico sindaco toscano appartenente ad Alleanza Nazionale, dedica una strada ai fratelli Gramsci, il noto Antonio (comunista) e lo sconosciuto Mario, che invece fu fascista.
ANNOTAZIONI /
(1) – Giovanni Roveda / Nato a Mortara (Pavia) nel 1894 e morto nel 1961. Membro del Partito Comunista Italiano dalla fondazione (gennaio 1921), nel 1922 fu eletto Segretario della Camera del Lavoro di Torino. Arrestato nel 1926 fu condannato dal Tribunale Speciale a 20 anni di reclusioine. Liberato dal confino nel febbraio 1943, partecipò alla Resistenza in qualità di membro del Centro Interno del PCI. Fu quindi Deputato alla Costituente e, nel 1948, Senatore di diritto.
(2) – Athos Lisa / Nel 1930, mentre era ristretto nel carcere di Turi, prese parte (assieme ad altri quadri comunisti come Leonetti, Treso e Ravazzoli) alle conversazioni con Gramsci, tenute durante le ore “d’aria”.
(3) – Ruggero Grieco / Nato a Foggia nel 1893 e morto nel 1957. Tra i fondatori del PCI, fu eletto Deputato nel 1924. Emigrò in Francia dopo le leggi eccezionali del 1926 e fu tra i dirigenti del Partito nel decennio tra il 1930 e il 1940. Passato nell’URSS nel 1939, partecipò, con il grado di Generale dell’Armata Rossa alla difesa di Mosca. Rientrato in Italia, nel 1946, fu nominato Alto Commissario per l’epurazione.
(4) – Palmiro Togliatti / Nato a Genova nel 1893. Laureato in Giurisprudenza nel 1919, fondò con Gramsci e Umberto Terracini, il settimanale ORDINE NUOVO. Aderì al PCI al momento della sua fondazione. Nel 1923 venne eletto nel Comitato Esecutivo. Dopo il suo rientro in Italia, nell’aprile 1944, fece parte del Governo presieduto dal Maresciallo d’Italia Pietro Badoglio e, successivamente, del secondo Governo di Ivanoe Bonomi (dicembre 1944), assunse le funzioni di Vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Fu Segretario Generale del PCI fino alla data della sua morte, avvenuta in Russia nell’agosto 1964.