[ Eminenti Personalità Arbëreshë degli ultimi quattro secoli (4°) ]
Ricordo-intervista di un illustre molisano, discendente del Principe shqipëtàr Tanùsh Thòpëja
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di Tiberio Occhionero
Leggi la prima parte dell’intervista a Mario Tanassi
ROMA (Novembre 2001) / «Mio padre, fondatore del Socialismo molisano, conosceva molti esponenti del movimento politico facente capo a Filippo Turati. Alcuni nomi: Leonida Bissolati, Anna Kulishov, Emanuele Modigliani, Giacomo Matteotti, Angelica Balabanov, Giacinto Menotti Serrati, Claudio Treves, Pietro Nenni ecc. Si dà il caso che fosse anche amico di un giovane e vulcanico socialista rispondente al nome di… Benito Mussolini.
Debbo precisare, però, che il sodalizio amicale tra i due durò solo per tutta la parentesi socialista del futuro Duce. Ecco un curioso episodio che sentii raccontare, in famiglia, quando ero piccolo. Un giorno mio padre capita a Savona per un convegno di studi forensi. Ad un tratto, mentre cammina spedito, urta accidentalmente un passante: ma sì è proprio lui, Mussolini in forza ad un reggimento di bersaglieri! Non si vedono da parecchio. Il tempo è tiranno, così decidono di andare in una trattoria, ordinano subito vino e del castagnaccio. Discorsi-fiume, rimpatriate, pacche sulle spalle. Arriva il conto. “Sono settanta centesimi in tutto”, dice la locandiera. “Vedo che i prezzi corrono più dei tramvai, signora” risponde Mussolini e aggiunge: “vuol dire che la prossima volta il castagnaccio ce lo farà soltanto … annusare!”».
On. Tanassi, menzionando i numerosi amici di Suo padre, Lei cita anche Nenni. Secondo alcuni storici egli nutrì, per anni, un amore-odio verso l’uomo di Predappio. Ancora. Giorgio Almirante sostenne nel 1972, in una drammatica seduta parlamentare, che il Nostro fosse stato uno dei fondatori del Fascismo bolognese! Insomma, che tipo era il faentino Nenni?
«Il destino ha sempre voluto riservare a Pietro Nenni un ruolo di personaggio secondario, “condannato” (suo malgrado) a passare in prima fila soltanto quando i protagonisti lo consentivano. Interventista, fascista, egli fu il primo romagnolo proveniente dalle file del socialismo cui si applicò l’appellativo di Duce. IL GIORNALE DEL MATTINO, quotidiano agrario di Bologna da lui diretto, pubblicò, infatti, il 28 luglio 1918 la seguente notizia: “Il Duce Nenni parte per il fronte”. “Pietro Nenni”, informava IL GIORNALE DEL MATTINO, “si congeda da noi temporaneamente. Tornerà e sarà il nostro Duce”.
Infatti, Pietro Nenni tornò: giusto in tempo per fondare il Fascio di Bologna e per difendere gli squadristi mussoliniani accusati di aver distrutto le redazioni dei giornali avversari.
Articoli avversari apparsi in seguito sulla stampa fascista testimoniarono il ruolo di fedele collaboratore ricoperto da Pietro Nenni, nei confronti del Fascismo, nel 1919. Quando i fascisti milanesi incendiarono la redazione dell’AVANTI! (15 aprila 1919), IL GIORNALE DEL MATTINO di Bologna, direttore Pietro Nenni, li difese con grande energia. Le autorità non furono dello stesso parere, e il 20 aprile 1919 il Comando del Corpo d’Armata di Bologna proibì ai militari in servizio attivo di far parte del Fascio. Allora Nenni scrisse sul GIORNALE DEL MATTINO: “Il nostro era un bivacco di gente onesta; c’erano i più bei petti dell’Esercito, c’era gente sana di mente e di fegato decisa a non tollerare provocazioni, ma anche a non farne“. “Comunque“, concludeva l’articolo, “il Fascio non morirà!“. Nenni fu, in ultima analisi, fascista fino al 1920. Quell’anno, in seguito a divergenze sorte tra lui e gli esponenti del Fascismo emiliano, passò nelle file del Socialismo.
Il suo primo incontro con Mussolini avvenne in Svizzera, nel 1923, quando il suo antico compagno di lotte rivoluzionarie era diventato Capo del Governo italiano. Quando, nel 1943, Pietro Nenni venne arrestato dai tedeschi in Francia, Benito Mussolini intervenne evitandogli la deportazione in Germania e salvandogli la vita. È doveroso ricordare, a questo punto, che un destino ben diverso attendeva, invece, la sua figlia terzogenita. Luciana, infatti, arrestata durante la guerra con il marito dalla Gestapo, non volle valersi della cittadinanza italiana: inviata in un campo di concentramento nazista vi trovò la morte».
Sandro Pertini (approdato alla Presidenza della Repubblica nel 1978), un altro esponente di spicco del Socialismo italiano e della Resistenza. Un rapporto, inviato il 13 giugno 1945 da Sir Noel Charles a Winston Churchill, rivela che quando Mussolini andò in arcivescovado per trattare la resa, i rappresentanti del CLN (il generale Raffaele Cadorna, Achille Marazza e Riccardo Lombardi) volevano consegnarlo agli Alleati. Ma Pertini si oppose. Chiese un processo immediato che si sarebbe concluso con una condanna a morte. Solo allora il Capo della Repubblica Sociale Italiana decise di tentare una ultima disperata resistenza in Valtellina con i suoi fedelissimi o (secondo altri) di fuggire in territorio svizzero. La Sua opinione in merito?
«No comment. Dico soltanto che, per me, Sandro Pertini rimane una pietra miliare del nostro Stato repubblicano nato dalla strenua lotta all’asservimento nazifascista!».
Passiamo a Giovanni Leone.
«Fu un uomo probo e un insigne giurista, vittima della degradazione della competizione politica. La sua vicenda è stata un ammonimento premonitore di un fenomeno che si verificò in seguito e che ancora oggi lascia strascichi. Giovanni Leone sperimentò in anticipo quella pagina triste della nostra storia recente fatta di calunnie, attacchi personali, campagne di stampa e vicende giudiziarie che ha per lungo tempo ammorbato la nostra aria politica. Desidero, inoltre, ricordare come, dopo il suo impegno e la sua dedizione per il bene della Nazione, abbia conosciuto le amarezze e le ingiustizie più gravi».
On. Tanassi, un Suo giudizio sull’attentato di Via Rasella a Roma (23 marzo 1944). Lei ebbe modo di presenziare più volte, in qualità di Ministro della Difesa, alle cerimonie in memoria delle vittime della strage delle Fosse Ardeatine.
«È lapalissiano che, a provocare la terribile rappresaglia delle “SS” del colonnello Herbert Kappler, fu il comportamento vile dei partigiani comunisti romani (Franco Calamandrei, Rosario Bentivegna, Carla Capponi, Alfio Marchini e Carlo Salinari). E questo per quattro motivi. Primo motivo: i gappisti dell’Urbe (“magistralmente” diretti dal gerarca comunista Giorgio Amendola) sapevano che l’attentato sarebbe stato completamente nullo dal punto di vista militare. Secondo: sapevano che all’attentato sarebbe seguita una rappresaglia. Terzo: sapevano che le vittime della rappresaglia sarebbero state scelte, come era logico, e prima di tutto, tra gli antifascisti prigionieri delle polizie italo-tedesche. Quarto ed ultimo motivo: sapevano che almeno centotrenta tra ufficiali del Centro Militare Clandestino e uomini del Partito d’Azione si trovavano in mano avversaria. Insomma il fior fiore dell’Antifascismo non comunista della Capitale. La rappresaglia non avrebbe avuto luogo se gli attentatori, in base ai bandi emanati dal Comando Germanico, si fossero costituiti nelle ventiquattro ore successive all’atto terroristico».
ANNOTAZIONE /
Chi scrive desidera telegraficamente rispondere a quanti (come il cortese “censore internauta” Ivan Grossi), ricordando le vicende giudiziarie (scandalo “Lockheed”, 1976) di Mario Tanassi, ritengono sia esagerato definirlo “statista”.
Già, il dossier “Lockheed”! Mario Tanassi (nato ad Ururi il 17 marzo 1916 e morto a Roma il 5 maggio 2007), è un dato acclarato da molti, fu la principale vittima sacrificale dei diabolici maneggi partitocratici sapientemente orchestrati dalla “Balena Bianca” (leggi: Democrazia Cristiana) con l’amletico-criptico assenso (ma ben … remunerato!) della più grande forza di opposizione (leggi: Partito Comunista). E tutto questo per salvare chi? Elementare, Whatson, per salvare Luigi Gui, il predecessore di Tanassi al Ministero della Difesa. Fu il democristiano Gui (un ex “Littore” di mussoliniana memoria!) a firmare le famigerate “lettere d’intenti” per l’acquisto degli aerei “C. 130 Hercules”.
Un ultimo, personale ed emblematico flash-back mnemonico. Trentasette anni fa, in un convegno politico-culturale nella città di Pescara, uno dei relatori menziona, di sfuggita, lo scandalo (scoppiato di fresco) degli aerei americani. Un insigne parlamentare, transfuga dalla Democrazia Cristiana, scandisce ad alta voce e fulmineo “Gui prodest”? Il grande Agostino Greggi (questo il nome dell’ex deputato DC) aveva capito tutto, da allora!
[ Seconda ed ultima puntata ]