C’è chi ha definito il comportamento dei ultras della Serbia come scandaloso ed inaudito. Esagerati. Cosi si sopravaluta una semplice idiozia. In realtà non c’è niente di cosi imprevedibile nel comportamento e nel gesto.
Ricordiamo ai balcanofili dell’ultima ora che buona parte delle milizie colpevoli del genocidio di Kosovë proveniva dalle curve dello stadio. Negli ultimi anni le curve e i covi di nazionalisti sono sempre stati, se non la stessa cosa, due vasi comunicanti. Niente di cui strapparsi i capelli. Ove più ove meno, un simile fenomeno succede in tutti i paesi del mondo, Italia inclusa. Quello che c’è da notare nel gesto invece è una sorte di progresso: dieci anni fa o giù di li, questa stessa gente bruciava case con dentro albanesi. Adesso bruciano solo le bandiera, il che non so come si chiama nella vostra lingua, ma nella mia si chiama progresso. Quello che dobbiamo fare però, è dare ad ogni atto il suo esatto ruolo. Bisognare stabilire alcuni punti fermi. Pochi o tanti scellerati che siano i tifosi, non rappresentano certo la nazione serba. La Serbia odierna non è più quella degli anni 90. Qualcosa è stato fatto, molto rimane ancora da fare, ma è indubbio che c’è una Serbia migliore. E una Serbia migliore giova anche ai Balcani. Volente o nolente, questi sono i nostri vicini. Non possono sparire, noi non possiamo sparire per quanto ci abbiano provato, e non c’è altra strada percorribile che la convivenza. E per quella ci vuole tempo. È inutile che funzionari di organi internazionali chiamino ogni 5 minuti per sapere se la pace definitiva è stata sancita e se la convivenza tra noi corrisponde ai standard europei di buona convivenza come sancita da questo o quel trattato. Seppur con minimi sforzi la nuova Serbia sta provando a guardare avanti. Ma non ci può essere convivenza senza perdono, e non ci può essere perdono senza scuse. Da Belgrado piomba un silenzio assordante che diventa ogni giorno più pesante.Quello che Belgrado deve fare è più tosto chiaro e semplice. Lasciar andare via il dipartito Kosovë ed ammettere le proprie colpe nel massacro dei kosovari. Solo e solo cosi si possono gettare le basi per una convivenza e per sbloccare la situazione nei Balcani. Loro lo sanno, ma sanno anche che il politico che intraprenderà questi due passi pagherà, come minimo, con la sua carriera per dare inizio alla nuova nazione. Tutto questo processo si è concluso bruscamente nel 2003, e prima o poi deve iniziare esattamente lì dove è stato interrotto. È uno sporco lavoro, ma qualcuno deve prendersi la responsabilità. Dirlo chiaramente che il Kosovë oramai appartiene solo alle persone che lo abitano, ne alla Serbia ne all’Albania.La politica è quella cosa nella quale si rinuncia a qualcosa per qualcos’altro. Cosi avranno il diritto e il dovere di pretendere ed ottenere migliori condizioni di vita per tutti i cittadini serbi che abitano il Kosovë. I kosovari di nazionalità serba non possono continuare ad essere usati come una sorte di vittima sacrificabile in nome di non si capisce bene che cosa, mentre la Serbia non può rimanere ostaggio del suo passato. L’egemonia slava sui Balcani è cosa finita e non tornerà mai più, ma nel frattempo ci sono dei nuovi Balcani da disegnare. Quella Serbia che abbiamo visto avvicinarsi all’Europa percorrendo le via diplomatiche– per quanto sgradevole e ostile verso gli albanesi – è il nuovo che sta nascendo. Quella a Genova è la vecchia che sta per scomparire. La nuova Serbia è sospesa da qualche parte la in mezzo, e si porta dietro un popolo il quale si sente umiliato e circondato da nemici. Nemici gli albanesi, i kosovari, l’Europa.Un paese che ricorda in modo inquietante la Germania degli anni 20. Continuare a criminalizzarla oltre i suoi demeriti può volere dire consegnarla in mano al primo estremista che passa. E questo va evitato da tutti, albanese inclusi.