Medea (dal greco: Μήδεια, Mèdeia) è una figura della mitologia greca, figlia di Eete, re della Colchide, e di Idia.
Era inoltre nipote della maga Circe, e come quest’ultima era dotata di poteri magici. Il suo nome in greco significa “astuzie, scaltrezze”, infatti, la tradizione la descrive come una maga dotata di poteri addirittura divini.
Perdutamente innamorata di Giasone, Medea compie molti terribili sacrifici per poterlo sposare e infine ci riesce. Dopo dieci anni, però, Creonte, re della città, vuole dare sua figlia Glauce in sposa a Giasone, offrendo così a quest’ultimo la possibilità di successione al trono. Giasone accetta, abbandonando così sua moglie Medea. Vista l’indifferenza di Giasone di fronte alla sua disperazione, Medea medita una tremenda vendetta: dopo aver ucciso la giovane sposa e suo padre, per assicurarsi che Giasone non abbia discendenza, uccide i figli (Mermero e Fere) avuti con lui.
Assassinare le proprie creature. Capovolgere l’istinto materno in modo verticale, trasformandolo nel suo contrario: istinto omicida. Tre bambine uccise a coltellate dalla mamma, l’altro giorno. È accaduto a Lecco, Italia, Europa. È accaduto per l’ennesima volta. Accade spesso, sempre più spesso, nei Paesi più evoluti. In Italia sono più di 250 i casi accertati dal 1989 al 2006. L’infanticidio e l’omicidio di un bambino per mano materna e tra tutti i delitti, è quello che agli occhi della morale comune si presenta come il più inaccettabile, il più inspiegabile.
Cosa si cela dietro l’agire delle Medee di oggi? Follia, cattiveria o disperazione estrema? Attenti a dire “mostro”, di Medea. Medea non è un’aliena e raramente uccide senza complici. I suoi complici quasi sempre sono nascosti in mezzo a noi.
Secondo la maggior parte dei psicologi e psicoanalisti, in generale, il figlicidio è raramente “un fulmine a ciel sereno”, ma vede antecedenti specifici e situazioni ricorrenti, che dovrebbero richiamare l’attenzione delle persone vicine, famigliari, amici, ma anche di medici e servizi sociali. Una madre che uccide suo figlio non è un mostro, quasi mai. Una madre che uccide suo figlio, quasi sempre, è una donna sprofondata in un abisso, dove nessuno è riuscito a tenderle una mano.
La profonda disperazione, il buio della depressione, il silenzio della solitudine, il peso della stanchezza, il terrore di non essere adeguata; un compagno che non ti aiuta, e che nemmeno ha colto il tuo disagio; una società che non comprende, non si accorge, lasciano alcune donne disperse ai margini di una vita non più riconoscibile. Le lasciano alla deriva, estranee a se stesse. Ma chiedere e trovare aiuto si può, ma si può e si deve prima che la mente scivoli nel disagio, prima che perda l’energia del sentimento, il controllo dei gesti, la lucidità nel riconoscere il dolore poiché a quel punto si è persa anche la capacità di chiedere aiuto.
Non c’è nulla di più sbagliato, quando inizia a ventilare l’ipotesi di una malattia mentale, pensare che chiedere aiuto sia una forma di debolezza o credere che una persona depressa possa farcela da sola. La depressione, specialmente nella sua forma grave, è una malattia seria e se non viene curata, può provocare terribili tragedie come pare abbia provocato anche in questo caso.
Il primo passo, che è anche il più importante, è quello di rendersi conto per sè stessi, per un famigliare o per un amico, che si ha davvero bisogno di aiuto. Una volta deciso di chiedere aiuto, si può iniziare da una consulenza medica dal medico di famiglia. Dopo un esame completo, lui dovrebbe consigliare di rivolgersi a uno specialista di salute mentale, come ad esempio uno psicologo od uno psichiatra. Non si deve rifiutare di curarsi per paura del costo della terapia. Spesso è necessaria solo una terapia psicoterapica di breve durata e la cura della depressione può essere coperta dal Sistema Sanitario Nazionale. Se per caso il medico di famiglia non sa o non vuole aiutare (raramente capita) si può rivolgersi a un suo collega.
Se la persona depressa non può o non vuole recarsi presso lo studio medico, il medico o lo specialista possono iniziare a mettersi in contatto con lui telefonicamente. La telefonata non può sostituire il contatto interpersonale necessario per una diagnosi completa, ma può convincere la persona a farsi curare. Il medico o lo specialista spesso possono curare efficacemente la depressione.
A seconda del paziente si rivelano efficaci diverse terapie: ad esempio i gruppi di auto aiuto possono insegnare nuove modalità di intervento o possono fornire un supporto esterno se ci si trova ad affrontare un cambiamento profondo della vita. Allo stesso modo possono rivelarsi utili diverse forme di supporto psicologico anche con i farmaci antidepressivi.
Per guarire, o anche solo per sentirsi meglio, ci vuole tempo, ma se ci si fa aiutare dagli altri e dalla cura scelta, ogni giorno si fa un passo significativo verso la guarigione.
Per fare tutto questo, noi come società, dobbiamo prima renderci conto che l’indifferenza, questo demone moderno, si sta annidando nelle nostre famiglie ogni giorno di più seminando paura per tutto quello che ci circonda: paura di affrontare il dolore, nostro e altrui; paura di guardare negli occhi la realtà; paura di non possedere ricchezze materiali; paura di amare…il prossimo come se stessi.
Ecco perché il delitto di Medea è quasi sempre una vendetta trasversale, per ferire un Giasone che aveva già ferito: un marito, un padre, una madre e chissà chi. Ecco perché il figlicidio è quasi sempre un suicidio, per morire dentro, per far morire il meglio di sè. Ecco perché i complici sono tanti. Ecco perché complici lo siamo tutti.