Vote: The way to hell is paved by good intentions!
Finalmente si è iniziato a parlare seriamente del voto della diaspora, ossia del diritto di esercitare il voto per i cittadini che vivono all’estero. Per non farla diventare una pretesa ma piuttosto un diritto, è necessario costruire un dibattito politico serio, capeggiato da intellettuali, cittadini e dalla politica interna albanese, per poter costruire un processo legislativamente coerente con le politiche nazionali ed internazionali. Il primo passo è stato fatto dalle associazioni albanesi in Italia con l’atto d’Intesa “Une Votoj”. Manca ancora la componente intellettuale e il confronto con la politica interna albanese.
Ed è stata proprio la politica albanese a presentare le sue contraddizioni sull’argomento durante la campagna elettorale. I leader dei partiti politici hanno portato avanti una propaganda alquanto dispotica chiedendo il voto agli emigrati, oppure chiedendoli di convincere i loro familiari a votare il loro partito. Una miope convenienza, questa, dato che non esiste il sistema di voto fuori dai confini nazionali e non tutti possono tornare in Albania per votare, che gli si offra o meno il biglietto. Questa apparente ingiustizia ha reso agli emigrati un grande favore: sono diventati un elettorato a tutti gli effetti, tanto importante da poter essere decisivo per la vittoria.
The way to hell is paved by good intentions!
Vi è comunque un ritardo con cui le associazioni in Italia si sono organizzate per chiedere di concretizzare un tale diritto. Si potrebbe giustificare in parte dal senso di colpa che si prova per aver abbandonato la propria casa e famiglia, e dall’altra per la (totale) mancanza di fiducia nella politica interna del Paese. Inoltre non é mai stata chiara la dinamica con la quale si è sviluppata la presenza albanese all’estero. Che tipo di diaspora, transnazionalismo o trans-statalismo le si può associare prendendo spunto dalla pratiche internazionali sul campo?
Abbiamo già scrutinato il sistema del voto della diaspora presente ad oggi in 115 democrazie mondiali. Un diritto che si esercita tramite 5 forme diverse di voto dalla Diaspora: voto di persona: funziona per 79 paesi, dove si può votare di persona, presso consolati o Ambasciate; voto per posta: per 47 paesi dove si può votare per via postale; voto per mandato: utilizzato da 16 paesi dove si può votare con un sistema di delega del voto; voto per Fax: utilizzato da 2 paesi (Australia e Nuova Zelanda) dove si può votare da facsimile; voto su Internet: ad oggi 2 paesi (Estonia ed il Paesi Bassi) sono stati capaci di permettere il voto su Internet.
Molti dei paesi hanno sistemi misti, applicando così più di un metodo, in occasione delle elezioni legislative, presidenziali, referendum ed in alcuni casi elezioni locali.
Passando invece a che tipo di Diaspora o transnazionalismo presentano gli albanesi fuori dai confini nazionali, è necessario definire i due concetto a livello internazionali.
Diaspora o transnazionalismo?
Etimologicamente la diaspora è stata associata alla dispersione traumatica di un gruppo da una origine territoriale comune verso più destinazioni. Pertanto le vere comunità diasporiche resistono solitamente alla piena assimilazione nella società di accoglienza e mantengono le identità collettive di gruppo su più generazioni. Infine, le comunità diasporiche creano e mantengono i legami oltre ai confini politici tra le varie sedi di insediamento dei loro gruppi fuori dai confini e sono fortemente orientate verso una patria esterna che le spinge a mobilitarsi per progetti politici sul futuro di questa terra.
Invece il transnazionalismo presenta collegamenti collaterali attraverso più luoghi di insediamento della stessa diaspora. Esso è generalmente strutturato come una relazione tra i paesi di origine e singolari paesi di destinazione. Anche se i migranti provenienti dalla stessa origine si stabiliscono in molte destinazioni diverse, le loro attività transnazionali sono principalmente indirizzate verso un paese di origine dove hanno legami familiari, dove hanno inviato rimesse, e nella cui politica hanno un interesse reale dal momento che sviluppano l’intenzione di tornare in fase di pensionamento.
Tre sono le nozioni del transnazionalismo, che si riferiscono alla terra madre e che possono essere più o meno rilevanti della vita del migrante: i legami sociali a distanza strutturati attraverso le istituzioni politiche, economiche o altro attraverso il quale il paese di origine rimane per i migranti una fonte di diritti, opportunità, identità o appartenenza; legami sociali a distanza con la propria famiglia, o con un limitato gruppo di connazionali, inserito in uno scambio di reciproco affetto e doveri; legami emotivi e affettivi con le precedenti vite degli immigrati, il cui ricordo nostalgico spesso è idealizzato e contrasta le esigenze della vita attuale degli immigrati, che può anche allontanare da un doppio progetto di vita.
Il transnazionalismo è quindi la capacità dell’emigrante di continuare a influenzare la società di origine. Ossia, è il passo successivo del termine diaspora in quanto è spesso usato per denotare gruppi religiosi o nazionali che vivono fuori di una terra natia, e le condizioni di formazione dei processi sociali e di macro-società fuori da quei confini. Se analizziamo le pratiche transnazionali della sfera privata, esse coinvolgono l’emigrato all’estero con azioni come lo sviluppo dell’imprenditorialità, l’attivismo politico, iniziative socioculturali legate alla filantropia, fino ad arrivare alle rimesse. Gli albanesi in ciò sono stati eccellenti in questi anni.
La diaspora infine differisce dal transnazionalismo perché aggiunge anche un fattore passionale, di identità e azioni collettive di attori non statali rispetto alle istituzioni stabilite, sfociato attraverso la mobilitazione politica più che attraverso percorsi accademici. Possiamo quindi concludere che lo studio della diaspora riempie il vuoto lasciato aperto da prospettive istituzionalistiche che non riescono a catturare la spiegazione e le dimensioni pratiche del transnazionalismo. Che è anche il caso delle comunità albanesi sparse per il mondo.
Usare quindi il concetto della diaspora come un progetto politico, significa organizzare un’identità collettiva tra un gruppo sufficientemente ampio che segue attività politiche transnazionali mobilitate in una varietà di contesti e nessuna che abbia come elemento di dispersione traumatica, ma che seguono un reclamo o richiesta diasporica. La definizione viene dunque a comprimersi in un concetto in cui contingenze di mobilitazioni politiche all’interno di costellazioni transnazionali con particolari identità di gruppo formano artificialmente la diaspora albanese.
I partiti politici albanesi avrebbero trovato l’oro, ma la chiamano terra dorata.
I partiti politici in Albania dovrebbero farsi carico dell’organizzazione della diaspora all’estero per ampliare il bacino di voti in previsione dell’introduzione del voto all’estero, moltiplicando così le possibili fonti di finanziamento, rinforzando i legami transnazionali del partito con i partner europei, e continuando ad attivare la diaspora su temi considerati prioritari dal partito. E infine la formula magica è strumentalizzare ciò con l’idea di candidarsi nell’UE. Considerando poi le 170 milioni di rimesse all’anno nonostante la crisi, per non parlare della sola presenza di albanesi in Grecia, 680.000 emigranti, e quelli in Italia, 520.000.
Per continuare ad usare il termine Diaspora dovrebbero capire che ciò comporta un impegno politico più che dispotico.
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