Klodiana Çuka, presidente di Integra Onlus: “Provo profondo rammarico per come le istituzioni abbiano già dimenticato l’avvenimento e per come il Comune di Otranto in particolare abbia gestito il monumento dedicato alle vittime. Nessun lancio di fiori, ma solo la proiezione in aprile del film “Anija”, del regista Sejko”
Sono passati esattamente 16 anni da quando nel pomeriggio del 28 Marzo 1997, 108 albanesi, tra cui donne e bambini, persero la vita nel canale d’ Otranto. Nel primo pomeriggio di quel 28 Marzo la nave Kater I Rades era salpata da Valona, con a bordo gente che scappava dalla guerra.
Le imbarcazione della Marina Militare italiana, avvistata la barca in mare aperto, iniziarono le cosiddette manovre di allontanamento ,non avendo tale barca l’autorizzazione per l’attraversamento. Una delle navi, la Sibilla, si avvicinò troppo, causando l’affondamento della Kater. Questo è ciò che è accaduto secondo la testimonianza dei sopravvissuti.
La Corte d’appello, dopo aver recuperato il relitto “scomodo” del Kater I Rades, ne ha disposto il trasferimento ad Otranto, affinchè diventasse monumento in ricordo delle vittime. Purtroppo i lavori di recupero non sono mai stati portati a termine. Non è stata nemmeno realizzata una targa di ricordo che spiegasse ai visitatori di Otranto il significato della nave. Intanto, al di là dell’Adriatico le famiglie delle vittime piangono ancora i loro cari dimenticati.
Le fotografie scattate dalla stessa presidente Cuka testimoniano l’abbandono.
“Con dolore e sdegno ho fatto queste foto a Otranto. Invece della nave della memoria oggi la definirei la nave della discordia. Insieme ad altre tante persone siamo saltati di gioia quando abbiamo compreso di aver salvato il relitto. Ma poi chi gestisce interessi e fondi ha deciso renderla in nave della discordia – dichiara la presidente -. Non trovo parole e neanche scusanti per giustificare e o comprendere la trascuratezza ed i motivi che hanno ucciso definitivamente ciò che voleva essere un opera d’arte. Transenne e vetri rotti! Penso e non solo io, che chi ha perso la vita nella pancia di quella nave, preferisce che quel rottame sia rimosso, piuttosto che sia una massa di vetri e ruggine senza identità e senza neanche una targa di commemorazione promessa dalle istituzioni coinvolte e mai realizzata! Politici e tecnici delle istituzioni non possono bendare gli occhi e perdere persino la sensibilità umana, perché impegnati in facendo più importanti che l’arte e le politiche migratorie”.
La storia vicenda della Kater
Nel primo pomeriggio del 28 marzo 1997 la Kater i Radës era salpata da Valona. All’interno viaggiavano donne e ragazzi che scappavano dalla guerra. In mancanza di indicazioni precise sulle procedure da attuare in caso di attraversamenti non autorizzati del Canale d’Otranto, cinque imbarcazioni della Marina militare italiana, una volta avvistata la barca in mare aperto, si avvicinarono e misero in atto le cosiddette manovre di allontanamento.
Una delle navi italiane, la Sibilla, si avvicinò troppo, toccando la Kater e causandone l’affondamento. Questo quello che raccontano i superstiti. Ne seguì un processo che durò per anni.