Gli Stati Uniti hanno contattato l’Albania perché provveda alla distruzione delle armi siriane all’interno del suo territorio – è quanto confermato ufficialmente dal Ministro degli Esteri, Ditmir Bushati, nel corso dell’intervista rilasciata al quotidiano francese “Le Monde” . Il ministro degli affari esteri albanese Ditmir Bushati, in visita lunedì 4 novembre a Parigi, dove è stato ricevuto dal suo omologo Laurent Fabius, ha confermato a “Le Monde” che Washington “ha sollecitato” il suo governo. “ Ma non abbiamo preso alcuna decisione quel giorno -ha confermato-. Non si è nemmeno scesi a livello di discussioni tecniche”.
Diversi altri Paesi esortati dagli Stati Uniti hanno rifiutato, tra cui la Norvegia. L’Albania rappresenta alcuni vantaggi, soprattutto geografici, a causa della sua vicinanza geografica e della facilità di un possibile trasporto degli stock per via marittima. Inoltre, essa vanta un’esperienza particolare riguardo la neutralizzazione dell’arsenale chimico. Nel 2007, infatti, fu la prima nazione a distruggere completamente il proprio arsenale, accumulato sotto il regime del dittatore comunista Enver Hoxha.
Prudenza del governo albanese
Nel caso dell’arsenale siriano, tuttavia, l’ampiezza degli stock da smantellare e le condizioni di sicurezza in Albania impongono una diffida di un’altra misura.
Dunque, il tempo stringe per Washington. L’organizzazione per l’interdizione delle armi chimiche (OIAC) ha annunciato che i suoi ispettori, arrivati in Siria un mese fa, avevano segnalato l’insieme dello stock di 1.000 tonnellate di agenti chimici e di 290 tonnellate di armi chimiche dichiarate da Damasco.
Il Consiglio Direttivo dell’OPAC deve stabilire un calendario entro il 15 novembre. Ufficialmente, Washington rimane ottimista circa la possibilità di incontrare il termine del 30 giugno 2014, data entro la quale la distruzione dovrebbe essere completata. Per ora, il governo albanese si è espresso in maniera molto cauta. Si è di fronte ad una complessa equazione.
Come stato fra i più poveri d’Europa, l’Albania ha bisogno di sostenitori occidentali. Ma anche altre considerazioni entrano in gioco e spiegano la mancanza di risposta del pubblico per diversi giorni alla domanda americana. Infatti, due giorni dopo la sua entrata in carica pubblica e all’indomani di una promessa elettorale su un tema molto delicato in Albania, Edi Rama ha deciso di vietare l’importazione di rifiuti tossici, pericolosi o non pericolosi. Nel novembre 2011, il governo centrale a destra Sali Berisha aveva autorizzato l’importazione di 55 sostanze chimiche tossiche, facendo infuriare le organizzazioni che difendono l’ambiente.
Associazioni ambientaliste già sul piede di guerra
“L’Albania post comunista non è stata poi così parsimoniosa sulle questioni ambientali -spiega Albert Rakipi, direttore dell’istituto albanese degli affari internazionali. Sarebbe totalmente sbagliato dire sì oggi, a qualche settimana dal divieto deciso dal nuovo governo. Ciò creerebbe della confusione tra la gente. In più, non è questo il modo di fra crescere l’Albania. Se si considera che da noi è il turismo ad avere un vero potenziale economico, occorre essere coerenti.”
L’Alleanza contro l’importazione di rifiuti (AKIP) ha raccolto oltre 64.000 firme (ben oltre la soglia delle 50.000 richieste) per richiedere un referendum sulla questione dei rifiuti tossici. La Corte Costituzionale aveva ritenuto valida questa petizione e il referendum avrebbe dovuto svolgersi alla fine di dicembre, prima del divieto deciso dal governo di Rama.
“Ci si trova ora di fronte ad una maggiore contraddizione -evidenzia Blendi Kajsiu, uno dei rappresentanti dell’AKIP-. In Albania, i governi tendono ad essere servili nei confronti degli alleati occidentali, degli Stati Uniti, o dei Paesi europei. Cercano la loro legittimità all’esterno. Ma chi tiene conto, in questo caso, degli interessi albanesi? Data la debole capacità amministrativa del nostro stato e l’alto rischio dell’arsenale siriano, si avrebbe la ricetta per un disastro”.
Il 15 marzo 2008 un’esplosione in un deposito di munizioni nel villaggio di Gërdec, vicino a Tirana, ha ucciso 26 persone e causato centinaia di feriti. Una società statunitense aveva l’incarico di distruggere le scorte di vecchie munizioni, in collaborazione con il Ministero della Difesa.