Il destino dell’Albania alla fine della seconda guerra mondiale era quello di cadere sotto la sfera di influenza iugoslava; a Yalta del piccolo paese balcanico non se ne era nemmeno ufficialmente parlato, solamente Churchill (1998) dichiarò che “l ‘Albania rimanga sotto la Yugoslavia” posizione condivisa da Stalin nelle conversazioni con Milovan Gilas (1992) ; anche se il governo laburista che fu eletto dopo la fine della guerrà tentò nei successivi tre anni di destabilizzare la situazione interna e rovesciare il regime comunista, tentativi che fallirono per il doppio gioco di un agente britannico (Phillby) 1980.
Dopo l’eliminazione della corrente filoiugoslava di Xose e primi due brevi piani quinquennali il secondo congresso del partito del lavoro albanese (aprile 52) approvò il primo piano quinquennale di impostazione sovietica del dopoguerra. Gli obiettivi principali del primo piano quinquennale erano sia economici che politici e sovieticamente il piano era basato sullo sviluppo della industria pesante ,vista come il settore economico attorno al quale si sarebbe poi sviluppata tutta l’economia albanese.
Il settore A, il settore beni di investimento secondo la classica divisione sovietica per distinguerlo dal settore b dei beni di consumo è stato il settore privilegiato nei primi piani quinquennali sovietici e quindi l’ Albania ha seguito pedissequamente l’esempio sovietico come tutti gli altri paesi dell’est europeo. I dirigenti del partito giustificavano tale scelta con l’obiettivo di sviluppare una economia capace di autosostenersi e di evitare forme di dipendenza, un compito irrealizzabile per un piccolo paese come l’Albania con circa un milione di abitanti. La scelta di integrazione nella economia iugoslava, come orto e giardino di una federazione iugoslavo-albanese aveva molto più senso da un punto di vista economico, ma, come si è visto, questa strada non venne imboccata per motivi che affondano nella storia e nel vissuto profondo della nazione albanese.
L’esperienza della economia pianificata dal centro albanese deve essere divisa in tre periodi:
il primo periodo che va dalla fine della guerra fino alla rottura nel 1961 con l’Unione Sovietica, il secondo periodo in cui l’aiuto sovietico fu rimpiazzato da quello cinese ed infine quello successivo alla rottura con la Cina che è caratterizzato, dopo la morte di Enver Hoxa nel 1985, dal tentativo di riforme in senso gorbacioviano del nuovo segretario del partito Ramiz Alia che terminerà nel 1991 con l’inizio della trasformazione in economia di mercato.
I primi tre piani quinquennali (1951-1955, 1956-1960, 1961-1965) sono tre piani centrati sullo sviluppo dell’industria pesante e del settore minerario in un tentativo classico di industrializzazione spinta tipica del pensiero marxista leninista dei dirigenti comunisti di derivazione terzo internazionalista. Tale indirizzo risulta chiaro dalla seguente tabella in cui vengono riportati gli investimenti per settore.
Il primo piano quinquennale incontrò subito una difficoltà tipica di una economia sostanzialmente agricola che intraprende un processo di industrializzazione forzata cioè l’arretratezza di tutto il settore agricolo, quindi di tutto il paese, e la quasi inesistente preparazione tecnica e scientifica della forza lavoro.
enver_hoxhaLe vicende dell’agricoltura albanese ricordano quelle dell’agricoltura sovietica dopo il lancio del primo piano quinquennale staliniano e riportano alla mente il dibattito della seconda metà degli anni venti fra Bucharin e Preobazhensky sul modello di sviluppo che l’Unione Sovietica doveva imboccare per industrializzare il paese. Il primo segnale di grandi difficoltà nel settore agricolo si manifestò immediatamente negli anni 50-52, anni in cui si ebbe una grande siccità, ed in cui i contadini albanesi ebbero grandi difficoltà a consegnare all’ammasso le quantità previste. Infatti invece del 25% della raccolta del mais previsto per il raggiungimento della quantità dovuta, i contadini dovettero consegnare il 50% del raccolto effettivo. A peggiorare la situazione fu anche il fatto che il piano prevedeva prezzi agricoli troppi bassi in confronto ai beni industriali in modo che i contadini non erano in grado di acquistare le sementi e i beni industriali di cui abbisognavano.
E’ il ripetersi della crisi conosciuta come crisi delle forbici che si verificò in Unione Sovietica nel 1923, cioè di una biforcazione fra prezzi agricoli e prezzi industriali, a favore di questi ultimi.
Di fronte alla crisi nel marzo del 1953 il comitato centrale del partito del lavoro albanese prese importanti provvedimenti che portarono ad una revisione del piano, dirottando investimenti industriali al settore agricolo, alcune opere previste furono cancellate e tutte le obbligazioni arretrate dei contadini per gli anni 49-52 in cereali ed altri prodotti agricoli e di allevamento, vennero dichiarate estinte e le consegne obbligatorie dei contadini furono ridotte per tutte le categorie di terreni ; inoltre furono alzati i prezzi di acquisto del tabacco, delle olive, del cotone e di parecchi altri prodotti agricoli.
Il secondo piano quinquennale, dopo il terzo congresso del partito, cominciò la collettivizzazione dell’agricoltura albanese nella convinzione che la proprietà collettiva della terra era una forma superiore di proprietà rispetto a quella privata, superiore dal punto di vista dell’educazione socialista dei contadini albanesi e dal punto di vista dell’efficienza produttiva.
A questo scopo si dovevano creare nuove cooperative agricole e nello stesso tempo rendere più larga la base sociale delle cooperative esistenti, tramite l’adesione dei contadini che non ne facevano ancora parte.
La collettivizzazione doveva venir estesa in primo luogo alle zone di pianura ed in parte a quelle collinari, nelle zone montuose sarebbero state costituite cooperative pastorali oltre a cooperative agricole. L‘adesione dei contadini alle cooperative agricole doveva avvenire tramite persuasione, portando ad esempio le migliori condizioni di lavoro ed il miglior tenore di vita dei contadini aderenti alle cooperative ; il processo di collettivizzazione fu portato a termine usando spesso metodi che andavano al di là della semplice persuasione e della convinzione ideologica.
Inoltre furono rivisti i confini delle terre spettanti ad ogni famiglia e si approvò il piano di aiuti alle cooperative agricole che prevedeva l’invio di mezzi meccanici, di quadri tecnici e la concessione di crediti agrari.
All’inizio del processo di collettivizzazione venne costituita una cooperativa agricola in ogni villaggio, indipendentemente dalla dimensione del villaggio. Successivamente le cooperative vennero accorpate fino a comprendere 10-15 villaggi per una estensione di quattromila ettari.
Prof. Gian Paolo Caselli
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