Mons. Francesco Bugliari (alb. Frangjisk Bulari) – XXII Vescovo Titolare della Diocesi di Tagaste (1) – fu massacrato il 19 agosto 1806, assieme al fratello ottantenne Domenico Antonio, dai delinquenti (2) del capobanda Antonio Santoro di Longobucco, detto Re Coremme.
Mons. Francesco ebbe i natali nel paese arbëresh di Santa Sofia d’Epiro il 14 ottobre 1742 da Giovanni e Maria Baffa, studiò presso il Collegio italo-bizantino di San Benedetto Ullano. Fu ordinato sacerdote di rito greco il 2 novembre 1766, insegnò per qualche tempo nel seminario di Bisignano, mostrando grandi doti di predicatore. Poi arciprete di Santa Sofia d’Epiro. Nel 1792 si laureò in Teologia all’Università di Napoli e, superato il concorso per la presidenza del collegio italo-bizantino di San Benedetto, fu nominato il 26 marzo Vescovo titolare di Tagaste e prescelto come Vescovo degli albanesi di rito bizantino. Scrive Angelo Masci: «[…] è bene di notar qualche cosa più di preciso, trattandosi di un avvenimento troppo felice per gli Albanesi di Calabria, e di eterna gloria a chi ne ha conferito a produrre gli ottimi effetti.
Il fu Vescovo del rito greco [da intendersi rito confessionale bizantino] Monsignor D. Francesco Bugliari, uomo illustre per i talenti, per la dottrina, e per l’integrità de’ costumi essendo animato da un vivo zelo pel pubblico bene, appena fu destinato Presidente del Collegio suddetto, che applicò tutte le sue cure a metter lo stesso in un conveniente lustro, ed in una situazione da esser proficuo alla coltura non meno degli Albanesi, che di tutta la Calabria. Quindi nel 1792 supplicò il Re per l’aumento delle rendite, e pel cambiamento dell’abitazione, giacché S. Benedetto Ullano, dove prima stava sito il Collegio, era divenuto di aria mal sana. Incaricato di tal affare D. Giuseppe Zurlo, allora Giudice della G.
C. della Vicaria, ed indi Ministro delle Finanze, i suoi lumi superiori, le sue estese vedute per lo vantaggio dello Stato, e l’infinito suo zelo per la prosperità del Regno, gli han fatto vedere l’importanza di proteggere la Nazione Albanese, e di aumentare la coltura nella medesima. Quindi sviluppato quanto confaceva all’assunto, il Re prese il tutto in considerazione; onde con dispaccio del dì 1 Marzo 1794 [il re convenne alle proposte di Mons. Francesco Bugliari e trasferì il Collegio nel Monastero di Sant’Adriano a San Demetrio Corone (oggi Collegio Italo-Albanese)]» (3) .
Bugliari cercò di sviluppare al massimo il Collegio italo-bizantino, al punto che a differenza dell’opera svolta a San Benedetto Ullano, esso si trasformò in un istituto che – superando l’impostanzione di liceo-ginnasio seminariale – atto a conservare il predetto rito dei sacerdoti albanesi – colse livelli di portata universitaria. E in tal senso, Mons. Bugliari tese a raccogliere più strumenti e fondi che rafforzarono economicamente l’impresa affinché si potesse dare maggiore istruzione, e quindi innalzamento alle sorti della popolazione arbëresh.
Bugliari attraversò la fine della monarchia borbonica settecentesca, il periodo della rivoluzione del ’99, il sanfedismo, la statualità dei Napoleonidi e la violenta reazione restaurativa. A parere di Vittorio Elmo (1924-99) egli fu un «convenuto ideale»: vide con lungimiranza il tramonto dell’assolutismo monarchico e il bisogno dei nuovi mutamenti socio-ideologici quale irreversibilità storica per porre rimedio alla feudalità e all’arretratezza, in specie, della sua gente. Se a questo aggiungiamo i martirî del nipote Pasquale Baffi e del suo allievo Donato Tocci (1739-99) di San Cosmo Albanese; il massacro di Vaccarizzo Albanese (marzo 1799); e la prigionia dell’altro nipote, Angelo Masci, la scelta del Monsignore fu d’obbligo morale.
Un altro strale che Mons. Bugliari dové sopportare fu l’aspra contrarietà dei Vescovi di rito latino alle sue iniziative. E nonostante papa Clemente XII (4) (1652-1730-40) avesse limitato lo strapotere dei Vescovi latini con la bolla Superna dispositione (5) , il clero di rito latino avversò Bugliari, non tanto in quanto espressione dell’“indipendenza” confessionale albanese in Calabria, ma contro il prete innovatore. Dice Elmo:
«Mons. Bugliari intuì che l’avversione del clero latino nei confronti del clero di rito greco puntò sempre ad indebolire un rito religioso, componente di una cultura minoritaria. Pertanto, il suo dissenso alle ingerenze delle gerarchie ecclesiastiche latine fu espresso con forte intensità e sistematicità, e se fu dissenso contro le intrusioni esterne fu anche e soprattutto fiera manifestazione di libertà in favore dell’identità della gente arbreshe. La difesa dei valori minoritari passa per il dissenso di chi se ne reputa portatore, e per il clero di rito greco il dissenso espresso nei confronti dell’invadenza di quello di rito latino è scritto in corsivo ormai sbiadito in quella che resta comunque la più bella pagina della sua storia, proprio in virtù del fermo comportamento di Mons. Bugliari.
Il Bugliari ben capì che per quanto attiene all’integrità della lingua arbreshe il rito greco costituisce un elemento fortemente coesivo agli effetti della sua purezza e conservazione, e che la privazione imposta di un tal elemento assottiglia irrimediabilmente il patrimonio culturale e linguistico disperdendolo progressivamente. Infatti, di norma, le comunità arbreshe di rito latino sono volte a disperdere, prima di quelle di rito greco, i loro valori culturali e a non preservare nei lunghi tempi l’integrità della lingua. […].
In questo dinamico contesto storico, carico di grandi sommovimenti politici, economici e sociali, si colloca l’opera riformatrice del Vescovo Bugliari. Fu in questo contesto storico che la figura del Bugliari si stagliò nettamente su quella del borghese illuminato e superò quella del vescovo colto ma isolato. Essa acquisì una più elevata statura in ragione del ruolo assunto e svolto in difesa ed in favore dei suoi fedeli, e quindi, della sua gente arbreshe.
La sua ampia visione gli consentì d’individuare i motivi vitali della rigenerazione della gente arbreshe che furono quelli della difesa e della conservazione dei propri peculiari valori. Tali valori, infatti, furono assunti come elementi propulsivi nell’azione di inserimento, e come elementi coesivi contro la disgregazione sociale, in un momento storico di forti sommovimenti politici, di emancipazione economica dall’antico mondo feudale, di timidi processi sociali aggregativi e di altri più numerosi di segno opposto, tutti di grande ampiezza e di forte intensità.
Il Bugliari, in sostanza, difendendo e conservando integra l’identità arbreshe, la eleva a ragione primaria della rinascita della collettività intera avviatasi fuori dalla soggezione feudale. Non, dunque, solamente educatore della gioventù, ma pastore accorto e solerte dell’intera collettività arbreshe.
Una tal ampia visione, se trovò matrice nella erudizione del Bugliari, si ampliò dal travaso ricevuto dei contenuti delle idee dell’Illuminismo, con specifico riferimento ai diritti dell’uomo e delle genti. Si colorò, infine, del rigore della sua azione che la conversione giacobina comportò» (6) .
La stessa morte del Monsignore, al di là dell’iconografia e del più sincero martirologio va ricercata nello scontro di interessi, di cui Re Coremme era unicamente sicario. Bugliari difese energicamente il patrimonio immobiliare e mobiliare dell’Istituzione pubblica arbëresh, che era alla mercé erosiva di usurpatori e profittatori – la «borghesia anomala» a cui accenna Elmo, appoggiata alla corona e anticontadina, sodale e unita con la classe dei già feudatari – e pure se essa causa fu la meno evidente, determinò a muovere contro di lui. Bugliari fu ucciso in quanto difendeva e rivendicava le legittime sostanze – danaro, immobili e terreni – della Chiesa degli Albanesi d’Italia.
Il saccheggio di Santa Sofia d’Epiro iniziò il 17 agosto 1806. Mons. Bugliari, che rifiutò di fuggire assieme ai suoi compaesani, si nascose in un granaio. Fu scoperto il 19 agosto dagli uomini di Re Coremme, assieme ai quali c’erano pure dei sofioti, e fu trapassato da ventidue pugnalate, nell’atto di pregare il Signore affinché perdonasse i suoi assassini. Due giorni dopo la sua morte, l’arciprete di San Giorgio Albanese, Domenico Lopez, raccolse il corpo del Vescovo e lo seppellì nella Chiesa Madre di Sant’Atanasio il Grande (7) .
(1) La diocesi di Tagaste (Dioecesis Thagastensis) è una diocesi soppressa e sede titolare della Chiesa cattolica. Tagaste, corrispondente alla città di Souk Ahras in Algeria, è un’antica sede episcopale della provincia romana di Numidia. La nomina dei Vescovi e Arcivescovi titolari è riservata alla Santa Sede. Il loro titolo: Vescovo in partibus infidelium, da Leone XIII (Lett. Apost. In Suprema 10 giugno 1882) fu cambiato in quello di «Vescovo titolare». Essi non hanno alcuna giurisdizione sulla chiesa titolare (S.
P. Gregor. XV Decret. Inscrutabilis 5 febb. 1622), ma godono, salvo poche eccezioni, i privilegi e gli onori dei Vescovi residenziali (C.
I.
C. 1983 can. 376; can. 443, § 1,3; can. 450.).
(2) Da non confondere con i briganti, combattenti per la causa borbonica e fedeli a re, e i quali trasformarono Calabria, Basilicata e parte della Puglia in guisa di una Vandea post-1861.
(3) Angelo Masci, Discorso sugli Albanesi del Regno di Napoli, Marco, Lungro (Cs) 1990, IV ed., pp. 114-115, 116.
(4) Egli continuò la numerazione del pontefice di origine albanese, Clemente XI (1649-1700-21); cfr. di Giovanni Armillotta, Gli «arbëreshët»: le emigrazioni cristiano-albanesi in Italia, “L’Osservatore Romano”, 20 giugno 2001.
(5) Gli italo-albanesi di rito bizantino erano soggetti all’ordinario di rito latino e dalla predetta bolla le ordinazioni sacerdotali erano celebrate da un vescovo titolare appositamente nominato.
(6) Vittorio Elmo, Le idee dell’Illuminismo nel pensiero degli Italo-Albanesi alla fine del XVIII secolo, Marco, Lungro (Cs) 1992, pp. 81-83.
(7) http://www.treccani.it/enciclopedia/francesco-bugliari_%28Dizionario-Biografico%29/