Pubblichiamo l’introduzione del dramma “If only the dead could listen” di Gëzim Alpion messa in scena per la prima volta nel 2006 e pubblicato nel 2008 negli Stati Uniti dalla Globic Press. Il patriottismo e l’umanità sono i temi principali dell’opera che racconta il dramma della recente emigrazione albanese. Alpion, scienzato sociale e drammaturgo, parla anche del concetto del dramma come terapia sociale. È in corso la traduzione in lingua albanese dell’opera che molto probabilmente il lettore albanese avrà tra le mani all’inizio del 2010.
È stato espresso interesse anche da parte di traduttori italiani ma attualmente l’autore non ha ricevuto nessuna richiesta formale per la traduzione nella lingua di Dante. Sicuramente ne varrà la pena! Non solo perché la comunità albanese con i suoi 500.000 residenti in Italia è tra quelle straniere più numerose e si offrirà al pubblico italiano la possibilità di conoscerla meglio, ma anche perché il trama tratta le dinamiche delle migrazioni e si ritroveranno tutti senza distinzione di provenienza alcuna, incluso i nonni italiani che hanno provato il dramma dell’emigrazione sulla loro pelle, perché come dice l’autore “lasciare la propria patria è una tragedia”.
Nel dibattito post-spettacolo tenuta con il pubblico, la sera della première britannica di “Se solo i Morti Potessero Ascoltare”, nel teatro MAC di Birmingham il 7 febbraio 2006, un giovane attore Bosniaco mi chiese perché fossi così duro e severo nei confronti dell’Inghilterra, nonostante il Governo e il popolo britannico abbiano fatto tanto per aiutare i rifugiati.
Ovviamente, parlava in base alla sua esperienza e quelle di altri rifugiati o richiedenti asilo politico che sono stati i benvenuti in Gran Bretagna, paese dove ora stanno ricostruendo le loro vite spezzate, contribuendo allo stesso tempo all’economia e alla cultura del paese.
In ogni caso, pare che il giovane attore abbia interpretato il dramma come una cruda riproduzione della realtà, quando non è affatto così.
Quando la domanda in questione mi fu posta, non pensai minimamente di essere stato con quest’opera, in qualche modo, ingiusto nei confronti dell’Inghilterra. E non lo penso nemmeno ora.
Dopotutto, il dramma non vuole sottolineare in primis i difetti del sistema di asilo in Gran Bretagna. Inoltre, non si tratta di enfatizzare le ingiustizie subite dai rifugiati in altri paesi, come alcuni osservatori sostengono. Con tale opera ho cercato, attraverso il linguaggio teatrale, di accentuare quella specie di limbo esistenziale nel quale tante persone si ritrovano, indipendentemente dal fatto che vivano nel proprio paese o all’estero. Quello che accade ai personaggi nella mia opera potrebbe accadere a chiunque nel mondo, che sia Occidentale od Orientale.
C’è da dire che capisco il perché, alcuni osservatori arrivano ad attribuire a “Se solo i Morti Potessero Ascoltare” un carattere politico. Personalmente non mi considero uno scrittore politico e ciò non significa che sono apolitico, ma di sicuro non rientro in questa categoria. Quello che ho cercato di catturare con quest’opera, sono i traumi subiti dalle persone che decidono di abbandonare la loro patria, in cerca di una vita migliore, emigrando in altri paesi. Non ha importanza se si tratta di un rifugiato politico oppure economico, il dolore della partenza è lo stesso. Lasciare la propria patria è una tragedia. Una persona capisce il valore del proprio paese solamente dopo averlo lasciato.
Vista la mia esperienza, non posso certo considerarmi un rifugiato. La decisione di non tornare più in Albania dopo aver conseguito il dottorato di ricerca presso l’Università di Durham in Gran Bretagna nel 1997, è stata, senza ombra di dubbio, drastica e con conseguenze pesanti. Eppure, se potessi tornare indietro nel tempo, rifarei la stessa cosa. La differenza, è che parlo in qualità di scrittore e nel mio caso, vivere all’estero è stata una mia scelta e non un’imposizione dovuta a fattori non dipendenti da me. La distanza fisica dal paese d’origine, è di vitale importanza perché l’artista possa avere una prospettiva diversa, acquisire nuove culture ed essere capace di apprezzare in maniera critica la storia, le origini e le eredità altrui. Ed in questo possiamo riuscire solamente allontanandoci dalla nostra patria.
La cosa più importante che il mio esilio mi abbia mai insegnato, è che non si debbono mai considerare perfetti il paese, la storia e i connazionali di una persona. In un certo senso, attraverso i personaggi creati in “Se Solo i Morti Potessero Ascoltare” è proprio questo ciò che cerco di far trasparire. Significa che i personaggi rappresentano il sottoscritto?
Ogni opera d’arte, radicata com’è nell’esperienza personale dell’artista, si può considerare in parte autobiografica. Posso dire in questo senso, che i personaggi dell’opera mi fanno da “portavoce”. Ad ogni modo, per la mia gioia e costernazione capii già dall’inizio che non potevo tenere loro sotto controllo; iniziarono presto a disobbedire e a vivere a modo loro, specialmente i due personaggi principali: Leka Trimi, richiedente di asilo proveniente dalla regione Albanese del Kosovo e Alma Gurabardhi, una ricercatrice di Tirana con una promettente carriera nel Regno Unito.
Durante il loro incontro alla stazione di polizia a Londra, Leka e Alma sfiorano i due temi principali del dramma: il patriottismo e l’umanità. Temi che sono stati al centro di Vouchers, un’altra mia opera scritta nel 2001. Diretta da Duška Radosavljevic, drammaturga di nazionalità serba, Vouchers è stata presentata per la prima volta al Festival Europeo Dei Drammi Contemporanei in Huddersfield, Regno Unito, a marzo del 2002. Sono rimasto colpito dal coraggio della Radosavljevic nel dirigere l’opera, considerando il fatto che faceva riferimento alle atrocità commesse dalle forze serbe agli inizi degli anni novanta in Kosovo.
Il successo di Vouchers era incoraggiante, ma presto decisi di modificare la sceneggiatura, riscrivendone completamente alcune parti. Si rivelò un processo lungo e arduo che comportò diversi viaggi nei Balcani con lo scopo di vedere di persona, la realtà che Leka ed Alma lasciavano alle spalle nei primi anni novanta. È stato proprio durante questi viaggi di ritorno in patria, che mi sentii più che mai un estraneo nel mio stesso paese, specialmente durante le mie visite in Albania dalla quale me ne ero andato nel 1985 per studiare all’Università del Cairo, in Egitto.
Doloroso com’era all’inizio, questo senso di “estraneità e sradicamento” infine si rivelò utile per affrontare sempre più distintamente i temi più delicati dell’opera: patriottismo e umanità. Non ho voluto essere di parte in alcuna delle descrizioni concernenti i conflitti nei Balcani, siano questi internazionali che trasnazionali. Spero di esserci riuscito in questo. L’imparzialità è un principio gravoso; ho cercato di seguirlo nella maniera più coerente possibile, in quanto drammaturgo e scienziato sociale.
Mi chiedono spesso se gli eventi descritti nelle mie opere siano fatti realmente accaduti. Le trame rivelate sia in Vouchers che in Se Solo i Morti Potessero Ascoltare sono totalmente frutto della mia immaginazione. Comunque sia, se tentassi di analizzare la sceneggiatura appare chiaro che nulla è stato creato o inventato dal sottoscritto. Ho semplicemente dato forma a vari, piccoli frammenti di informazione riscontrati non solo nel periodo tra il 2000 e il 2006, quando scrivevo e riscrivevo costantemente le sceneggiature, ma anche durante l’infanzia, probabilmente. Usando un cliché, sembra che io abbia portato queste trame con me durante tutta la mia vita. Doveva solo passare un po’ di tempo, a quanto pare, prima che mettessi tutto nero su bianco.
Ero lieto e felice quando verso la fine del 2005, il Consiglio delle Arti dell’Inghilterra mi assegnò un premio; premio questo che rese possibile al dotato regista Srilankese-Inglese Marcus Fernando ed alla Dream Theater Company, di rappresentare l’opera al teatro MAC di Birmingham a febbraio del 2006.
Gli spettacoli del 2008 al teatro MAC ed al teatro Arena in Wolverhampton, sono stati sponsorizzati da r:evolve, un consorzio del teatro Arena, il Midlands Arts Center (MAC) e il Black Country Touring.
Gli spettacoli sono stati accolti con successo dai critici, dal pubblico e dai reporter. Attribuisco tale successo a Fernando, al cast dotato di talento da lui selezionato (Andrew Cullum, Peter Collis, David Wake, and Laurence Saunders, l’unico attore ad avere raggiunto il cast nel 2008) ed anche alla partitura musicale così originale, composta da Mark Taylor.
Fernando è stato tra i primi ad essere colpito dalla figura di Leka, il quale non è solo un personaggio affascinante, ma interpretarlo costituirebbe una sfida per ogni attore, viste le numerose sfaccettature del personaggio: clown ma anche filosofo; emarginato e arrabbiato ma anche amante in lutto; comprensivo ma anche arrogante; passionale ma anche patetico. Per un ruolo del genere ci vuole un attore versatile e forte. Fernando ha visto queste caratteristiche nel rinominato attore inglese Richard Attlee che inte
rpreta anche il personaggio di Kenton nel “The Archers” trasmesso sulla BBC Radio 4. Fernando ha fatto altrettanto una buona scelta nell’assegnare il ruolo di Alma all’attrice croata, Tina Hofman. Attlee e Hofman hanno riportato brillantemente l’odio e la chimica esistente tra Leka ed Alma.
La maggior parte delle persone che mi hanno scritto riguardo gli spettacoli teatrali, insistevano di essersi sentiti particolarmente incuriositi dall’aggressività di Leka, o addirittura dalla sua “brutalità”, come viene definita da alcuni. Inoltre, ha colpito parecchio anche la fine inaspettata del dramma che è ovviamente, tragica. Alcuni pensano che sia stato troppo rigido e severo con i personaggi di Leka ed Alma. È ovvio che coloro che hanno visto gli spettacoli in questione, sono quelli infastiditi.
Ma va bene così. Nel dibattito post-spettacolo che accennavo prima, sono stato abbastanza chiaro puntualizzando di non essere un animatore, ne un uomo di spettacolo. Scrivo per provocare i pensieri delle persone. Il mio obiettivo è quello di far sì che a fine spettacolo, il pubblico lasci il teatro con domande nelle loro teste, alle quali dovranno trovare risposta da soli. Quest’opera tratta la sacralità della vita umana e la dignità. Se gli spettatori sembrano esserne disturbati, a mio avviso questo è un buon segno. L’arte ci si presenta nella sua forma migliore quando è di natura terapeutica, e la terapia non sempre si rivela un’esperienza piacevole.
L’autore
Gëzim Alpion è nato nel 1962 a Peshkopi, città a nord-est dell’Albania. Ha studiato all’Università di Tirana (1982-1985), in quella del Cairo (1985-1993) e dal 1993 al 1997 all’Università di Durham (Regno Unito).
Nel 1997 ha terminato il Dottorato in Filosofia all’Università di Durham con una tesi sull’immagine dell’artista nelle opere di D. H. Lawrence. Nello stesso anno ha iniziato a insegnare alle Università di Huddersfield, Sheffield Hallam e all’Università College Newman come lettore di letteratura angloamericana, modernizzazione e film.
Nel 2002, Alpion è stato nominato lettore al Dipartimento di Sociologia dell’Università di Birmingham, dov’è anche Direttore degli Studi post-laurea. Dal 2000 è Membro d’Onore dell’Istituto degli Studi avanzati delle Arti e Scienze Sociali della stessa università.
Alpion ha svolto conferenze e tenuto lezioni in diverse università britanniche (Oxford, London School of Economics, University College London, Kingston) e altre negli Stati Uniti, Canada, Cina, India, Russia, Africa del Sud, Germania, Italia, Macedonia, Kosovo ed Albania.
Spesso Alpion viene intervistato dai media internazionali, particolarmente quelle inglesi, americani, francesi, italiani ed indiani, in qualità di esperto su Madre Teresa e sulla sociologia della religione, del nazionalismo, della celebrità e del film.
Alpion è autore del libro “Madre Teresa: Santa o Celebrità?”, pubblicato nel 2007 in lingua inglese in Inghilterra, Stati Uniti e Canada. Nel 2008 quest’opera è stata pubblicata anche a Delhi e a Roma.
Altre pubblicazioni in inglese di Alpion, includono due opere di carattere drammatico – la tragedia “Vouchers” (Buoni) nel 2001 e il dramma “If Only The Dead Could Listen” (“Se Solo i Morti Potessero Ascoltare”) nel 2008.
Inoltre, sono stati pubblicati anche due volumi di saggi e racconti brevi: “Foreigner Complex: Essays and Fiction about Egypt” (“Complesso da Straniero: Saggi e Opere Narrative sull’Egitto”) del 2002 e “Encounters with Civilizations: From Alexander the Great to Mother Teresa” (Scontri tra Civiltà: Da Alessandro Magno a Madre Teresa) del 2008.
L’ultimo libro, pubblicato dalla Meteor Books in India e dalla Globic Press negli Stati Uniti all’inizio del 2009, include saggi scritti nel periodo 1993 – 2007. Articoli e recensioni sulle opere di Alpion sono state scritte in quindici lingue diverse.
Inoltre gli studi e le recensioni di Alpion sono stati pubblicati in diversi giornali scientifici in Australia, Gran Bretagna ed Americ tra i quali “Continuum: Journal of Media and Cultural Studies”, “The Journal of the Royal Anthropological Institute”, “Journal of Southern Europe and the Balkans”, “Islam and Christian-Muslim Relations Journal”, “Review of Communication Journal”, “Film & History: An Interdisciplinary Journal of Film and Television Studies”, “Scope: Online Journal Film & Television Studies”, “Albanian Journal of Politics”.
Gëzim Alpion, ‘Introduction’, If Only the Dead Could Listen, Chapel Hill, NC, USA: Globic Press, 2008, pp. xvii-xx.
Tradotto per AlbaniaNews da Altina Hoti