Pubblichiamo l’ultimo capitolo della tesi “Dall’impero ottomano ai giorni nostri: alla ricerca dell’identità di un popolo“. L’autrice, la dottoressa Elena Pagani, ha dedicato il lavoro conclusivo del suo percorso accademico in Diritti dell’uomo ed etica della cooperazione internazionale all’Albania contemporanea e alle sue contraddizioni di Paese moderno (da cui la definizione 2.0).
La tesi è frutto sia di uno studio teorico sia di una permanenza in Albania a partire dal 2008.
5. ALBANIA 2.0: IL PAESE DEI PARADOSSI – Di Elena Pagani
5.1 IMPORTANTI PASSI VERSO IL FUTURO
L’Albania fece il suo ingresso nel XXI secolo in punta di piedi. “Koha e kaluar s’kthehet më”, “Il tempo passato non torna più”, recita un proverbio albanese, significativo per il futuro del Paese, che entrò nel nuovo millennio sulla scia di un difficile passato. Giunse finalmente il momento per il popolo albanese di prendere in mano il proprio destino, quello di una nazione sempre toccata da interessi contrastanti, a causa della posizione geografica strategica, dei territori, della ricchezza di materie prime e della continua instabilità e frammentazione interne.
Cinque secoli di dominazione ottomana hanno lasciato profonde influenze, sia dal punto di vista religioso (circa il 70% della popolazione è musulmana, il 20% della quale appartenente alla scuola dei Bektashi, mentre il restante 50% a quella sunnita), che linguistico e sociale: moltissime parole della lingua albanese, che secondo le posizioni più accreditate, deriverebbe dall’evoluzione dell’antico idioma illirico, con contaminazioni greche, latine, turche e slave, sono chiaramente di origine turca.
Altrettante influenze si possono riscontrare anche nella cucina, nel caratteristico uso delle spezie e nei piatti tipici come shishqebap, qofte, byrek, bakllava e llokume, un dolce simile a una grossa caramella, a base di amido, zucchero e noci, immancabile nelle case albanesi, che oltre ad essere il tipico dolce offerto agli ospiti, è anche quello donato dalle famiglie ai neofidanzati, secondo un’antica tradizione.
Tuttavia, la componente turca rappresenta solo una parte del patrimonio culturale e storico schipetaro, caratterizzato anche da una notevole presenza di influenze delle civiltà mediterranea e italica e di quella balcanica. Orientale, mediterranea, balcanica, l’Albania è sempre stata un’area di transito tra Oriente e Occidente, in bilico tra lotte e dominazioni, il cui destino e le cui sorti sono stati decisi da ottomani, italiani, balcanici, ma difficilmente dagli albanesi stessi, fino all’avvento di Enver Hoxha e del suo regime.
“Albania 2.0: il Paese dei paradossi” è l’ultimo capitolo della tesi “Dall’impero ottomano ai giorni nostri: alla ricerca dell’identità di un popolo” dell’autrice, Elena Pagani
Nemmeno tale periodo può considerarsi veramente frutto delle scelte degli albanesi, ma fu piuttosto una presa di potere autoritaria e una sottomissione del popolo stesso, fino alla flebile svolta democratica, al collasso delle finanziarie nel 1997, che portò al cosiddetto periodo di “anarchia albanese”, per indicare la totale situazione di caos, e all’emergenza profughi causata dalla guerra del Kosovo, durante la quale le case albanesi si aprirono spontaneamente per accogliere migliaia di persone in fuga e condividere con loro quel poco che possedevano.
Finì così il complesso secolo che vide l’indipendenza dell’Albania, il rafforzamento dei legami con l’Italia, che si impose come fratello maggiore, il regime enverista definito da Amnesty International nel 1984, come uno tra i più repressivi al mondo e un’ulteriore caduta verso il basso, dalla quale sarebbe iniziata una graduale, ma prodigiosa risalita.
Il 2000 iniziò con molte sfide e obiettivi da raggiungere, in una situazione politica caratterizzata ancora da forti carenze democratiche. Nell’ottobre dello stesso anno si tennero le elezioni amministrative che avrebbero dovuto dare luogo a nuove e importanti riforme. Furono le prime a turno unico, in base alla legge elettorale entrata in vigore pochi mesi prima, grazie a un compromesso tra i due partiti rivali: quello socialista e quello democratico di Sali Berisha.
Monitorate dall’ODIHR, l’Ufficio per le Istituzioni Democratiche e dei Diritti dell’Uomo dell’OCSE, rappresentarono una prova dell’orientamento europeo e democratico assunto dal Paese. Le elezioni amministrative del 2000 e quelle politiche del 2001 confermarono la vittoria del Partito socialista, che rimase al governo fino al 2005, quando il rivale democratico vinse a larga maggioranza, affidando a Sali Berisha il compito di formare il nuovo governo. Sempre nell’ottobre del 2000, il socialista Edi Rama, l’attuale Primo Ministro del Paese, fu eletto sindaco di Tirana, mantenendo questa carica fino al 2011 e svolgendo nella capitale importanti opere che contribuirono a darle l’aspetto attuale.
Dal punto vista economico, il Paese durante i primi anni del 2000, era forse ancora l’unico, tra quelli in transizione, in cui il 50% del PIL fosse ancora rappresentato dal settore agricolo. La sfida era di riuscire ad affrontare con il duplice fenomeno dell’occidentalizzazione e della globalizzazione, definita dall’OCSE come il processo tramite il quale si delinea l’interdipendenza dei mercati e della produzione nei diversi Paesi, in virtù dello scambio di beni e servizi, movimenti di capitale e tecnologia. Fondamentali si rivelarono i rapporti con i partner europei, Italia, Grecia e Germania i principali, e il commercio con gli altri Paesi dell’area balcanica.
Va detto che l’economia albanese continua tutt’oggi a trarre considerevoli benefici dalle rimesse dei numerosi emigrati, sebbene a causa della crisi economica che ha investito l’Europa a partire dal 2009, queste siano diminuite notevolmente (si calcola che nel 2009 le rimesse fossero pari a 748 milioni di €, contro gli 800 milioni dell’anno precedente). Tuttavia i cittadini albanesi residenti all’estero continuano a rappresentare per il loro Paese una risorsa importante. L’Italia entrò nuovamente in gioco nella vita del Paese delle Aquile, questa volta in maniera ben diversa dall’ormai lontano 1939, non più come un imponente fratello maggiore, ma come un vicino cugino e principale partner economico. Le relazioni tra i due sono oggi in continua crescita.
Il nostro Paese è da alcuni anni protagonista di quel fenomeno, tipico del processo della nuova globalizzazione, chiamato delocalizzazione, rispetto al quale l’Albania si è posta come un luogo eccellente, grazie ai prezzi contenuti, alla vicinanza geografica, ma soprattutto a un ambiente di lavoro a basso costo e ad alta qualità e motivazione, con elevati livelli di competenze linguistiche, in un sistema dinamico e in via di continuo progresso.
Nell’arco di pochi anni l’Albania si è trasformata in un territorio ricco di opportunità per moltissimi investitori stranieri, grazie anche al quadro normativo di riferimento: la legge sugli Investimenti Esteri, modificata nel 2010, è entrata in vigore proprio al fine di creare un clima favorevole e agevolare l’ingresso degli stranieri, persone fisiche o giuridiche, desiderose di iniziare un’attività in Albania o intraprendere un qualsiasi investimento sul territorio.
A tale proposito i settori maggiormente interessati e fruttiferi sono, secondo Albinvest, oltre a quello agricolo e agro-alimentare, quello della produzione tessile e dell’abbigliamento, grazie anche alla forte tradizione post-bellica attiva nella produzione degli indumenti. I principali vantaggi per chi sceglie di investire in questo settore sono rappresentati dalla disponibilità di forza lavoro competente, dall’esenzione dall’IVA o dai dazi doganali per il 100% dei produttori del settore della moda sotto il regime di re-export, e ovviamente dai ridotti costi di trasporto dovuti alla posizione geografica.
L’Albania, inoltre, è oggi uno dei principali produttori di calzature e pelli nel mondo e anche in questo settore gli investitori italiani sono in continuo aumento e hanno permesso al Paese di diventare il maggior esportatore di calzature in Italia. Alcune tra le maggiori aziende italiane presenti oggi in questi settori sono: Berttoni Shpk, Contatto Shpk, Doniana Calzature, Ital Style Shpk, Shirt&Company, Tod’s.
Si sta realizzando il fenomeno inverso a quello che vide protagonisti gli albanesi nel decennio 1990-2000. Oggi sono gli italiani a emigrare nel Paese delle Aquile, portando il loro know-how aziendale, esperienza tecnica e offrendo nuove possibilità lavorative. L’impatto degli investitori stranieri, ma anche degli stessi cittadini albanesi residenti all’estero, che decidono di rientrare e aprire un’attività nel loro paese d’origine, è molto forte e importante per il presente e il futuro economico dell’Albania, purché avvenga secondo le direttive europee nell’ambito di uno sviluppo sostenibile. I legami tra Italia e Albania oggi sono mutati rispetto al passato, assumendo una connotazione positiva e mostrando un’ottima stabilità relazionale.
Un altro settore importante e in via di sviluppo è senza dubbio quello del turismo. Il Paese intende, infatti, affermarsi come meta turistica, grazie ai 450 chilometri di costa balneabile, alle montagne dove la natura e gli spazi sono ancora incontaminati, e alla storia millenaria. Tuttavia, a causa del lungo isolamento e della recente apertura al mondo, nonché ad una cattiva fama dovuta a corruzione, illegalità, e all’immagine di un Paese segnato da un difficile passato, la domanda e l’interesse turistico sono ancora ridotti.
Un traguardo importante è stato raggiunto quando la guida turistica Lonely Planet, nel 2011, mise l’Albania al primo posto nella classifica delle migliori destinazioni. I passi da fare sono ancora molti, soprattutto nell’ambito delle infrastrutture e della gestione dei rifiuti, ma il Paese, con le sue tradizioni, l’accoglienza e ospitalità della gente e il folklore che lo caratterizza, offre davvero molte opportunità a tutti coloro che desiderano approcciarsi. L’Albania non aspira a diventare una meta per il turismo di massa, ma la strategia adottata dall’attuale governo Rama, punta piuttosto sull’agriturismo, l’escursionismo e i viaggi culturali, grazie anche alla presenza di tre luoghi iscritti al patrimonio mondiale dell’UNESCO: i centri storici di Agirocastro e Berat e il sito archeologico di Butrinti.
Come si può notare, il piccolo Paese sta mutando aspetto e, sebbene ancora molti passi debbano essere compiuti e molti errori corretti, soprattutto quelli legati al boom edilizio degli ultimi anni, che ha purtroppo contribuito a sfigurare molte città, tra cui la stessa Tirana, avendo sull’ambiente effetti devastanti a causa delle improbabili concessioni per la costruzione di veri e propri ecomostri, sono state molte le tappe già realizzate.
Alcuni traguardi tra i più significativi sono stati: nel 2006 la firma dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione con l’Unione Europea, nel 2009, quando l’Albania divenne membro della NATO, dal 15 dicembre 2010 la liberalizzazione dei visti Schengen, accolta da tutti con entusiasmo e interpretata come un ulteriore avvicinamento all’Europa, nonché il superamento dell’isolamento precedente, il rafforzamento della lotta alla corruzione e alla criminalità e l’agognata concessione dello status di Paese candidato all’Unione Europea, promossa soprattutto dall’Italia, con le sue 400 tra aziende e join-venture presenti in Albania, avvenuta nel giugno di quest’anno, e dal punto di vista delle infrastrutture, l’ultimazione dei progetti dell’Unione Europea e del Fondo di Sviluppo nella costruzione delle strade Scutari-Hani Hotit, Tirana-Scutari e Durazzo-Kukes.
Il nostro Paese continua a sostenere la crescita dell’Albania, favorita da un’intensa cooperazione e da legami che riguardano un’ampia gamma di settori e sono il frutto di una lunga collaborazione e incontri bilaterali. L’Italia è consapevole delle grandi potenzialità del Paese a tal punto da rappresentare uno dei maggiori sostenitori della transizione e del percorso europeo in corso. Le difficoltà da superare sono ancora molte, soprattutto in campo politico ed economico, ma il Paese sta intraprendendo il processo dell’integrazione europea con ottimi risultati e con la consapevolezza che è necessario guardare avanti, senza però dimenticare gli errori commessi, tutelando il patrimonio culturale, artistico e ambientale presente, puntando sulle riforme, sullo sviluppo delle risorse e sull’educazione dei giovani, protagonisti indiscussi del cambiamento, al centro di nuove e importanti opportunità.
5.2 GLI ALBANESI E L’ALBANISMO OGGI
Non potrebbero essere più attuali i versi del poeta cattolico scutarino Pashko Vasa, appartenente al Risorgimento Albanese, che nel tentativo di mobilitare il suo popolo scrisse: “Svegliatevi albanesi, dal sonno svegliatevi; e tutti come fratelli in una promessa unitevi; e non guardate chiese e moschee; la religione degli albanesi è l’Albanismo!”.
Rappresentano oggi un messaggio vivo, un incitamento forte verso la rinascita del Paese, ancora in corso d’opera. Il concetto di albanismo nato durante il Risorgimento Albanese, in riferimento alle parole del poeta Vasa, oggi assumono nella cultura schipetara un significato molto importante. Usato anche da Hoxha durante il suo regime, l’albanismo o shqiptaria, in lingua albanese, rappresenta un nazionalismo sui generis, diverso da quello che si diffuse negli altri Paesi della penisola balcanica. Strettamente intrecciato con lo spirito clanico e quindi con le antiche tradizioni, questa forma di nazionalismo non si può identificare con l’insieme delle idee e dottrine atte ad esaltare la nazione o patria, ma si tratta di un concetto che eccede questa definizione.
Pashko Vasa: “Svegliatevi albanesi, dal sonno svegliatevi; e tutti come fratelli in una promessa unitevi; e non guardate chiese e moschee; la religione degli albanesi è l’Albanismo!“
Malsorë, katunare, qytetar, katolike, musliman, ortodokse, la frammentazione in Albania è ancora una realtà di fatto. I malsorë sono coloro che provengono dalle montagne e continuano ad essere chiamati in questo modo sebbene abitino nelle città da un paio di generazioni o vivano addirittura all’estero; i katunare sono invece coloro che provengono dai villaggi, tendenzialmente da famiglie di contadini e infine i cittadini, gli abitanti dei centri maggiori, a loro volta divisi a seconda della città di provenienza. Queste differenze e suddivisioni sono ancora molto sentite in Albania e contribuiscono a creare le classi sociali.
Dal punto di vista religioso, la storica tripartizione non è mai stata superata e oggi l’Albania è suddivisa in musulmani che rappresentano la maggioranza, cattolici, soprattutto al nord, all’incirca l’11% e ortodossi, il 7% Moschee, minareti e chiese condividono spazi molto stretti e vicini, poiché la religione nel Paese assume una connotazione del tutto particolare. Frequenti sono i matrimoni tra individui appartenenti a religioni diverse, proprio per il modo in cui il popolo considera l’appartenenza ai vari credo: la nazionalità albanese è multireligiosa, e l’atmosfera è quella di tolleranza e maturità, a tal punto che lo Stato viene considerato come un vero e proprio esempio in questo campo.
La spiegazione è indubbiamente legata al concetto di albanismo, al quale la fede, qualunque essa sia, è subordinata. Il vero credo del popolo è il suo essere profondamente schipetaro, e nonostante le differenze, legato indissolubilmente da un antico legame. Ovunque si trovino nel mondo, gli albanesi, non dimenticano questo forte senso di appartenenza, la comune fratellanza, che è diversa dall’amore per la patria, ma potrebbe essere definita come l’amore per il proprio popolo. Che si trovino in America, Europa o altre nazioni, gli albanesi rimangono legati alle loro origini, ma soprattutto al loro essere schipetari, disposti quindi ad aiutarsi e sostenersi gli uni con gli altri.
La famiglia, il legame di sangue, l’ospitalità, il rispetto dei valori e delle antiche tradizioni, ancora vive, sono i pilastri sui quali si basa la vita degli albanesi in patria e all’estero. Molti di questi aspetti si ritrovano nell’antico codice del Kanun, “la tavola dei valori” di questo popolo, che si è dimostrato capace di resistere a qualsiasi cambiamento, ideologia, dominazione, e religione, rispettando due valori fondamentali: considerarsi tutti fratelli e proteggere i più deboli, forse l’esempio più bello di fede, qualsiasi sia la religione che la rappresenti. La frammentazione dell’Albania è quindi una realtà apparente, il popolo ha un’identità che lo contraddistingue oggi come in passato ed è racchiuso nel concetto di albanismo.
Il 21 settembre 2014 Papa Francesco ha visitato l’Albania. Si tratta del secondo Papa, dopo Giovanni Paolo II nel 1993, a fare visita al Paese. Ha presieduto una messa solenne nella piazza dedicata a Madre Teresa di Calcutta, la quale seguì il viaggio a Scutari compiuto vent’anni fa da Giovanni Paolo II. Tutti con entusiasmo, si sono preparati all’arrivo del pontefice, che ha affermato che il motivo principale che l’ha spinto a decidere di compiere questo viaggio è che l’Albania, riuscendo a formare un governo di unità nazionale, con un consiglio interreligioso equilibrato, abbia mostrato come sia possibile per un popolo lavorare insieme. Si è trattato di un evento molto importante per il Paese e per il suo popolo, simbolo dell’attuale libertà religiosa, vissuta in un clima pacifico e di comune identità nazionale.
5.3 2008-2014 LA MIA ESPERIENZA NEL PAESE DELLE AQUILE
In quest’ultimo paragrafo, che vuole essere anche una sorta di paragrafo conclusivo, descrivo la mia esperienza personale in Albania che ha avuto inizio nel 2008. Si tratta ovviamente di impressioni ed esposizioni soggettive, seppure caratterizzate da uno spirito critico e sempre più consapevole. Ho sempre trascorso il mio tempo in Albania come fossi una turista, con gli occhi di chi viaggia e visita un Paese aspettandosi tutto da esso, senza avere la presunzione di indagarlo o essere in qualche modo prevenuto.
Ho avuto l’opportunità di visitare luoghi e conoscere realtà molto da vicino, accompagnata da cittadini albanesi che non hanno mai lasciato l’Albania e da altri che ritornano dopo aver trascorso molti anni all’estero e hanno una prospettiva molto simile alla mia verso quello che è stato ed è tornato ad essere il loro Paese. L’Albania oggi è totalmente diversa da quella raccontata nei libri di storia, e solo visitandola e vivendola per alcuni periodi si riesce a capire quali intricati meccanismi l’hanno resa ciò che è.
Non è solo frutto di un difficile passato, di scelte sbagliate, di un popolo stanco che ha reagito impulsivamente; è influenzata anche, se non soprattutto, dalla storia dei Paesi vicini, da quell’imponente Occidente che in certi periodi è sembrato lontano e oggi, invece, è più prossimo che mai, dagli albanesi stessi, ancora così diversi e frammentati, molti con residenza o passaporto stranieri, ma che continuano a tornare e a costruire nel loro Paese d’origine, dagli italiani, tedeschi, austriaci, turchi che hanno fatto dell’Albania la loro meta lavorativa, nuovo terreno per cospicui investimenti, e dall’albanismo, quello spirito di unità e comunità così radicato in questa terra, che contagia un po’tutti, anche chi di albanese non ha nulla. Non è un Paese che lascia indifferenti: dall’Albania si ritorna con molte più consapevolezze, divertiti, stupiti spesso, increduli.
Io l’ho definita più volte “il Paese dei paradossi”, dove tradizione e modernità si scontrano e sposano, dove il passato entra in tutte le realtà, nel pubblico e nel privato, dove ci sono ancora regole sui rapporti morali, ma vengono eluse quelle relative al bene pubblico, dove i matrimoni durano tre giorni e rappresentano la festa più importante e sentita in tutte le famiglie, ma spesso i coniugi si sono frequentati solo virtualmente, dove, come recita un proverbio albanese, “Mali me mal s’piqet, njeriu me njerine piqet”, “le montagne non si incontrano, ma le persone sì.”
Il mio primo viaggio in Albania risale al 30 settembre 2008. Si trattò di un viaggio breve, della durata di quattro giorni, durante il quale visitai Scutari e alcuni villaggi rurali del distretto del nord, Malesi e Madhe: Koplik, Pjetroshan, Bajza.
Non sapevo quasi nulla del Paese nel quale mi stavo recando, l’unica cosa che conoscevo erano alcuni cittadini albanesi emigrati in Italia da diversi anni e il fatto che ci fosse stata una lunga e difficile dittatura comunista. Da allora i miei viaggi in Albania sono stati molto frequenti, con permanenze più lunghe, con la media di una visita al mese. Ho visitato diverse città e paesi: il nord al confine con il Montenegro, il sud e le città costiere e mete turistiche Vlora e Saranda, i siti, patrimonio Unesco, Butrinti e Argirocastro e il confine con la Macedonia, il Lago di Pogradec o di Ohrid, a proposito del quale Voltaire affermò: “Chi dice che i laghi dellaSvizzera sono i più belli d’Europa, non ha ancora visitato il lago di Ohrid”.
Durante questi anni ho riscontrato molti cambiamenti, ho imparato a conoscere questo Paese con i suoi incredibili paradossi e in un certo senso ho instaurato con esso un legame particolare, giacché con un Paese come l’Albania non può essere altrimenti. L’impatto iniziale fu quello di un cantiere in costruzione, moltissimi edifici non ultimati, altrettante case incomplete, con tondini di ferro a formare quello che avrebbe dovuto essere un tetto, in attesa di poter costruire un altro piano, fatto che spesso dipende dalla disponibilità degli emigrati all’estero, i quali, con le loro rimesse permettono ai parenti rimasti nel Paese di costruire nuove abitazioni.
Sin dal principio una delle cose che mi hanno impressionata maggiormente sono stati proprio edifici e abitazioni: alcuni verdi, gialli, azzurri o viola. La maggior parte sembrano il frutto del disegno di un bambino, piuttosto che di un architetto, figura che ho scoperto, essere nuova in molti paesi, in cui sono gli stessi abitanti a progettare le loro case, nella maggior parte dei casi influenzati da ciò che hanno visto all’estero. I piani regolatori sono stati totalmente elusi, ognuno, dalla fine del regime, ha costruito dove e come desiderava, senza che l’impatto ambientale fosse tenuto in considerazione.
A tal proposito l’influenza estera è sorprendente, così come lo è la voglia di dimostrare che oggi si ha la possibilità di costruire una casa enorme, con almeno tre piani a disposizione, abitata durante l’anno da una o due persone al massimo. Gli emigrati, ovunque si trovino nel mondo, decidono quasi sempre di costruire un’abitazione nel loro paese natale, sebbene molte volte questo contribuisca a dare ai piccoli villaggi un aspetto grottesco.
Invece di recuperare lo stile delle vecchie dimore in pietra, ormai purtroppo quasi scomparse, si cercadi costruire una residenza che richiami il Paese straniero d’accoglienza. Ecco il primo e significativo paradosso. Spesso queste enormi ville sono abitate da anziani ancorati alla tradizione, che indossano ancora i costumi tradizionali, diversi in base alla provenienza, e che non si sentono a proprio agio negli spazi abitativi, dimostrando imbarazzo e goffaggine e rimpiangendo spesso le vecchie dimore nelle quali hanno trascorso la maggior parte della loro vita. Tuttavia sono estremamente orgogliosi delle loro nuove residenze, in quanto rappresentano la testimonianza del successo che i figli hanno fatto all’estero.
Un altro aspetto sorprendente e che suppongo sia abbastanza ignoto a chi non si è mai recato nel Paese delle Aquile, è che quasi tutti gli albanesi parlano o capiscono la lingua italiana, alcuni in maniera perfetta. L’italiano, che molti hanno appreso guardando la televisione sin da piccoli, oggi viene studiato in molte scuole, come secondo idioma, a partire dalle elementari.
Il popolo schipetaro conosce molte cose dell’Italia, è informato sia dal punto di vista culturale che politico, guarda i nostri canali televisivi e si percepisce quanto sia forte questo legame, anche attraverso i nomi di negozi, centri commerciali, ristoranti: “Casa Italia”,“Venezia”,“Colosseo”, sono solo alcuni esempi. Col passare degli anni il numero voli diretti verso Tirana è considerevolmente aumentato, come gli italiani che incontro durante le varie tratte. Inoltre è frequente, passeggiando per il centro della capitale, imbattersi in persone che parlano italiano.
Un altro fenomeno significativo è l’aumento di comitive straniere che visitano le città principali, fatto totalmente nuovo. I paradossi continuano ad essere molti: le strade sono piene di Mercedes e automobili costose, in prevalenza SUV, eppure c’è una povertà diffusa e lampante. Sul tragitto Tirana-Scutari ci si imbatte in abitazioni fatiscenti e non è raro incontrare carretti trainati da asini o cavalli. Nelle strade secondarie, è ancora comune osservare mucche, maiali o altri animali attraversare la strada o ragazzi che cercano di vendere conigli, tacchini, galline, uova, e più in generale i prodotti agricoli della giornata.
In alcune zone questo fenomeno di vendita su strada di prodotti agricoli e di allevamento è particolarmente diffuso e cambia in base alle stagioni. È inevitabile pensare che questa forma di attività individualistica, che porta guadagni minimi, necessari appena al sostentamento della famiglia, potrebbe essere convogliata e quindi sostituita dall’introduzione di cooperative agricole che raccolgano i vari contadini e allevatori della zona.
Dal 2008 ad oggi la maggior parte dei lavori pubblici sono stati dedicati proprio alla costruzione delle arterie stradali principali, indispensabili per poter sostenere un futuro aumento del turismo, ma in prima istanza, per migliorare la viabilità interna. Si è concluso da poco meno di due anni il tratto Scutari – Hani Hotit, realizzato con i fondi della Cooperazione Italiana allo Sviluppo, che collega la città con il confine montenegrino, dando sviluppo all’intera zona.
Le città differiscono enormemente dai piccoli villaggi e questo è un segnale della frammentazione interna, sebbene nell’ultimo ventennio moltissimi abitanti delle zone montuose o più remote, si siano trasferiti nei centri principali e nella capitale. Si mantengono tuttavia i quartieri, divisi in base all’appartenenza religiosa o di provenienza. Nonostante questo, ho avuto modo di riscontrare quanto l’Albania sia un Paese simbolo della tolleranza religiosa. Il suono delle campane si fonde con il richiamo alla preghiera islamica, le festività sono celebrate con il medesimo rispetto e la medesima considerazione e vi sono molte coppie i cui componenti sono l’uno cattolico, l’altro musulmano. Raramente mi è capitato di incontrare donne che indossino hijab, mentre ho notato un solenne rispetto nei confronti dei vari culti, un sentimento intimo e un’affluenza ai luoghi sacri maggiore rispetto alla nostra, un rispetto profondo della fede, di Dio, qualsiasi sia il suo nome.
L’enorme Piazza Skanderbeg, una volta luogo dell’esibizionismo del potere enverista, sorella minore della più celebre Piazza Rossa, che si trova nel centro di Tirana, è il simbolo della città, ed è emblematica dal punto di vista religioso e architettonico. Al centro si staglia la statua dell’eroe nazionale, conosciuto come l’atleta di Cristo e il difensore della cristianità, alle sue spalle la moschea Ethem Bey, ultimata all’inizio degli anni Venti dell’Ottocento, la torre dell’orologio, risalente al 1830, gli edifici governativi, costruiti dai fascisti negli anni ’30, e a poca distanza, uno degli ultimi grattacieli in costruzione nella capitale, un edificio dall’architettura estremamente moderna, rappresentativo di una città in continua evoluzione.
Nella parte occidentale della piazza si trovano l’hotel Tirana, il palazzo della cultura con il Teatro dell’Opera il cui stile architettonico è chiaramente d’ispirazione sovietica, e il Museo Storico Nazionale, il più grande del Paese, caratterizzato all’esterno da un enorme mosaico che, oltre ad essere diventato un altro dei simboli della capitale, raffigura la storia del popolo albanese dalle origini illiriche sino al movimento nazionalista che portò all’indipendenza. Un frammento di Turchia, uno di Russia, un altro d’Italia si fondono in questo imponente spazio, che trovo essere particolarmente rappresentativo e altrettanto bello.
La capitale albanese è il luogo dove ultimamente mi reco con maggiore frequenza. Tirana è ormai una città cosmopolita, vivace, dove, più che in qualsiasi altro centro del Paese, modernità e tradizione vivono l’una accanto all’altra. Chi ha visitato Tirana e l’Albania una decina di anni fa e la visita oggi, trascorrendoci qualche giorno, non può non credere al significato della parola progresso. Grattacieli, hotel, ristoranti, locali all’ultima moda, ambasciate, convivono con palazzi fatiscenti, sorti durante la dittatura, e con i mille fili della corrente che percorrono la città, collegando tra loro i vari palazzi, fino a perdersi in un infinito groviglio. Il progetto è di interrarli, ma per ora i “mille fili” si mantengono stabili.
Una delle problematiche e delle sfide maggiori dell’Albania, del governo, ma soprattutto di tutti i cittadini sono di ricomprendere il valore e l’importanza del bene pubblico. Mi sono resa conto di quanto questo sia altamente sottovalutato. Nelle città come nei paesi e soprattutto mi ha sorpreso la rassegnazione di molti giovani studenti il cui unico obiettivo è ancora quello di riuscire, attraverso un visto studentesco o qualche legame familiare, a fuggire dalla propria realtà. Al contrario ho riscontrato in coloro che rientrano nel Paese, dopo essere stati all’estero diversi anni, il desiderio, l’ambizione e la determinazione di costruire qualcosa, di essere portatori del cambiamento, di trasmettere energia e un’ondata di fiducia e positività.
Un esempio lampante è quello di un amico, Altin Prenga, originario di Fishte, un villaggio nel distretto della città di Lezha, che dopo aver trascorso un periodo in Italia, svolgendo diverse mansioni quali lavapiatti in un ristorante stellato, collaboratore in aziende gastronomiche, e infine gestore di un agriturismo, è rientrato nel suo Paese e nel suo piccolo villaggio, famoso per aver dato i natali al francescano Gjergj Fishta, poeta, politico e traduttore albanese, per aprire nel 2010 un ristorante, diventato poiagriturismo. Nell’arco di pochi anni i successi e le soddisfazioni si sono moltiplicati.
Mrizi i Zanave , questo il nome scelto da Altin che è il titolo di una delle poesie di Gjergj Fishta, cofondatore con il fratello e il padre, è il primo ristorante in Albania ad aver ottenuto il presidio slow food. Gli articoli pubblicati su riviste e quotidiani nazionali e stranieri, su questa realtà amena, sono svariati. Altin è stato inoltre invitato all’università di Scienze Gastronomiche di Cuneo, dove ha preparato una cena con i prodotti tipici albanesi, facendosi portatore di questa rivoluzione nel campo della cucina e del panorama gastronomico schipetaro. Oltre alla bellezza del luogo, semplice, ma al tempo stesso ricercato, unico nel suo genere in tutto il Paese, alla bontà e genuinità dei piatti, Mrizi i Zanave ha permesso lo sviluppo dell’intera zona, offrendo opportunità lavorative ai suoi abitanti.
Legato alla tradizione, Altin ha scelto di proporre i piatti e i prodotti tipici schipetari, quelli della cucina povera e semplice, facendoli riscoprire agli stessi albanesi. Frequentato sia da ambasciatori e politici che da malsore e katunare, questo agriturismo, a mio avviso, rappresenta quello che molti migranti sono in grado di fare: rientrare nel proprio Paese come soggetti attivamente capaci di promuovere iniziative di sviluppo, sfruttare il turismo come volano della crescita economica e sostenibile, ed essere “cittadini ponte”, all’esterno e all’interno dell’Albania. Altin Prenga è stato inoltre uno dei protagonisti del video presentato dal progetto CELIM “Shqiperia Nesër”, Albania domani.
Albania domani è l’Albania oggi, proiettata verso il futuro, l’Albania dei cambiamenti e delle valorizzazioni, quella in grado di guardare contemporaneamente all’interno e all’esterno. È un Paese che cresce, che si fa conoscere, che si apre all’Occidente e all’Europa, mostrando gli innumerevoli punti in comune, ma anche le diversità che lo rendono un interessante luogo da scoprire. L’Albania oggi è un Paese dove i bunker enveristi diventano coccinelle, che si ha il desiderio di visitare più di una volta, portando con sé amici e parenti, dove la tradizione deve lasciare il giusto spazio alla modernità, e viceversa.
Questo è il Paese che ho conosciuto e ciò che mi ha trasmesso, è un luogo di incontro e scontro e proprio in questa versatilità risiede la sua ricchezza. Come Altin sono moltissimi gli esempi di migranti che rientrano e diventano una risorsa nel loro Paese, diventando una sorta di “cittadini ponte” tra realtà diverse, ma che sono parte di loro e di ciò che si accingono a creare: nella ristorazione, nell’edilizia, nell’industria tessile, metallurgica, idroelettrica, e in altrettante realtà si possono notare queste presenze. Conoscere l’Albania e alcuni dei suoi abitanti mi ha permesso di conoscere meglio anche il mio Paese, vedendolo in un’ottica diversa. Italia e Albania sono davvero più vicine di quanto si possa pensare, due sponde dello stesso mare, due Paesi che si sono sempre incontrati, continuano e continueranno a farlo, grazie alla cooperazione, grazie ai cittadini e ai governi, ma soprattutto grazie a un profondo e antico legame.
CONCLUSIONI
Questa tesi rappresenta una panoramica della storia albanese, a partire dalla dominazione dell’Impero Ottomano che ne ha segnato profondamente le sorti. L’Albania oggi è il frutto di un lungo passato di dominazioni e interferenze esterne, che costituiscono l’incredibile versatilità che caratterizza il Paese. Ciò che risulta lampante visitandola è la mescolanza di storie, realtà, persone così diverse tra loro, ma unite dal legame al territorio, dall’albanismo più volte citato, l’esaltazione del suolo e del “sangue”, che richiama i concetti presenti anche nelle norme del codice Kanun.
Fernand Braudel: “l’Albania è una nazione all’incrocio tra Est e Ovest, regione di collegamento tra i Balcani e l’Italia”
L’obiettivo prefissato è quello di riuscire, attraverso l’excursus storico, a illustrare le varie motivazioni che hanno portato il Paese ad essere ciò che è oggi: un territorio ricco, con un passato travagliato, con alcune ferite ancora aperte, ma con una forte spinta verso il futuro europeo. L’Albania è considerata una delle nazioni periferiche d’Europa, ed ha al proprio interno altrettante periferie, che mostrano il lato più veritiero e rappresentativo del Paese. Il progresso deve partire da Tirana e dai centri maggiori per diffondersi in maniera capillare, grazie anche allo sviluppo tecnologico, all’istruzione e al legame di co-sviluppo e cooperazione con l’Italia. Come affermò lo storico francese Fernand Braudel: “l’Albania è una nazione all’incrocio tra Est e Ovest, regione di collegamento tra i Balcani e l’Italia”, minacciata per secoli di essere assorbita dai popoli contigui, caratterizzata da situazioni inestricabili, interessi nazionali e internazionali, diplomatici, migrazioni e paradossi.
Incomparabile con qualsiasi altro Paese dell’area balcanica ed europeo, l’unicità è la caratteristica principe di questo popolo e del suo territorio, sempre più proiettato verso l’Europa. Nella messa presieduta da Papa Francesco il 21 settembre 2014 a Tirana, evento che ha riunito tutti i cittadini, cattolici, musulmani e ortodossi, il pontefice ha fatto un augurio al Paese, tra i più giovani d’Europa, ricordando che l’aquila, il simbolo dell’Albania, non abbandona mai il nido, ma al tempo stesso vola in alto. “Non abbiate paura di volare in alto”, questo deve essere uno slogan per il popolo albanese e soprattutto per i suoi giovani, che devono diventare attori protagonisti del processo di sviluppo e cambiamento in corso. Il Papa ha inoltre affermato che “l’Albania oggi dimostra che la convivenza religiosa è non solo auspicabile, ma concretamente possibile e praticabile” e citando Giovanni Paolo II, “la libertà religiosa è un baluardo contro i totalitarismi e rifugge dalle tentazioni dell’intolleranza”
Cooperazione, sostenibilità, rispetto delle norme, educazione e lotta alla corruzione e all’idolatria del denaro, all’ideologia che per anni ha dominato il Paese, portandolo al totale isolamento e riducendone le potenzialità, sono le parole d’ordine per la rinascita, quella che si è prefissato il nuovo Premier Edi Rama e che va perseguita da ogni singolo cittadino. Una nuova Riljndia che porti l’Albania ad essere al centro dell’Europa, parte attiva e integrante, che accolga investitori e turisti stranieri, che si sveli all’Occidente e si faccia bacino di esperienze e storie, quelle del suo popolo, in patria e all’estero.
L’Albania di oggi è il Paese del rientro, dell’inversione dei flussi, delle novità e del progresso, è un luogo di pace e convivenza religiosa, di fratellanza, comunità e spirito d’iniziativa, dove l’individualismo estremo che ha imperato, soprattutto in politica, deve essere sostituito dalla condivisione e da un progetto comune: costruire una Shqiperia Nesër, un’Albania del domani, le cui fondamenta sono indubbiamente già state gettate.
* Elena Pagani è autrice di due libri sull’Albania