Con il Dedalo Ensemble, le musiche di Alexander Peci e Thomas Simaku, il mio Terremoto a Tirana. Il treno, sabato 14, era il Frecciarossa, alta velocità, alto costo ( 90 euro in seconda classe solo andata) ma bassa qualità: sedili strettissimi, lo schienale assurdamente concavo, come se dovesse ospitare dei gobbi, quando ormai tutte le automobili sono convesse per accompagnare la schiena, persino la mia Tata indiana, il bracciolo fisso, così se il posto accanto è vuoto non puoi neppure allargarti un pò, la gamba del tavolino molto scomoda.
Vagone pieno. Silenzio assoluto per tutto il viaggio, nessuno parla con nessuno, una ragazza davanti a me si alza e scende senza salutare, una signora la rimpiazza e anche lei non saluta. Tutti hanno facce tristi, ingrugnate. Che è successo agli italiani? Nemmeno si sentono più i fastidiosi trilli dei cellulari, quasi quasi li rimpiangi.
Scendendo a Milano commento la cosa con una giovane donna e decidiamo di prendere assieme un caffè in stazione, in attesa del treno per Brescia. Una tipa molto forte, originaria della Puglia, una imprenditrice. Sostiene che i suoi amici imprenditori le pronosticano un 2010 peggiore del 2009. “Non vede che tutti comprano oro?” Vite diversissime, ma parliamo e ci incuriosiamo una dell’altra, due umane in un vagone di apparenti zombie.
A Brescia vado alle prove nella bellissima sala con soffitto affrescato “Piano nobile” in cui domenica 15 il Dedalo Ensemble (una flautista, un pianista, un violoncello, un clarinetto, un violino) suonerà musiche di due compositori albanesi, Alexander Peci e Thomas Simaku. Quando entro Simaku, che viene dall’Inghilterra, dove vive e lavora da vent’anni, sta ascoltando la prova del suo brano eseguito dal violoncello, il bravissimo Guido Boselli, compositore lui stesso. “hai colto lo spirito della mia musica” gli dirà in inglese, ma poi pian piano si deciderà a parlare italiano, si sa, gli albanesi con le lingue son dei perfezionisti, e lui si sente più a suo agio con l’inglese, ormai. Ma va benissimo anche in italiano! in più, è simpatico, molto comunicativo. Non può trattenersi, come tutti i compositori, dallo spiegare altri minutissimi dettagli. Il direttore dell’Ensemble è il Maestro Vittorio Parisi, che venne per la prima volta a Tirana a dirigere l’orchestra del Teatro dell’Opera chiamato da me, (come narro nel romanzo) e da allora è sempre ritornato in decine di occasioni, ormai considera l’Albania (e lo dirà dal palco) la sua seconda patria. Anzi, dirà proprio così: “se non fossi italiano sarei albanese”.Dopo le prove andiamo a visitare una splendida villa del ‘700 fuori Brescia, dove un architetto che ama la musica ha operato un restauro magnifico, per eleganza e tecnica del suono, i musicisti provano l’acustica, è molto buona. Sarà un bello spazio pe futuri concerti. Ci tocca rifiutare un bell’invito a cena perchè domani c’è da lavorare parecchio. Presto a dormire.
Domenica alle 11 arriva il pubblico, arriva anche da Milano il viceconsole Gjon Koba, uno scutarino alto alto, che è stato allenatore a Modena per 7 anni di pallavolo femminile, con grande successo. Da vero gentiluomo, alla fine acquisterà il mio libro senza chiederlo in dono. Prima del concerto parla Vittorio Parisi e si commuove quando narra del suo ritorno in Albania dopo la caduta del comunismo, quando una signora centenaria chiese di incontrarlo perchè dai tempi della guerra non aveva più visto un italiano. Parlo io e dal viaggio in treno mi viene da dire che gli albanesi sono ancora umani, persone che ascoltano e partecipano alla vita degli amici, speriamo che anche loro non sacrifichino tutta la propria umanità al dio denaro. Perchè poi, alla fine, si finisce ingrugniti e aggressivi con tutti. Come sono gli italiani oggi. Non tutti, ma troppi. Poi parla il viceconsole, e con sorpresa non dice cose formali, ma molto toccanti. È convinto ( mi dirà poi a parte) che nessuno, nel pubblico, possa capire veramente di cosa stiamo parlando, di quanto fosse difficile, quasi impossibile, comunicare fra albanesi e stranieri prima del 1991, di quante cose fossero proibite, esprimere le proprie opinioni e poterle difendere. Comincia lo spettacolo, “Italia Albania due sponde dello stesso mare”, prima “Carousel strucuture” di Peci, per flauto, clarinetto, violoncello e pianoforte e io leggo il capitolo 37, “Un concerto commovente” dove racconto quell’evento del 1989, poco prima che cadesse il Muro di Berlino, quando per la prima volta un direttore d’orchestra italiano, appunto Parisi, venne a dirigere a Tirana. Poi Daniela Cima suona “Un soufle de vente” con il suo flauto, un pezzo difficile sempre di Peci. D’ora in poi alternandomi con i brani musicali leggerò brani del finale rossiniano, incalzante, frenetico, in quell’inizio del 1991 quando Parisi tornò a Tirana a dirigere un Barbiere di Siviglia programmato da me, che ormai ero trasferita a Londra, durante le prove del quale i manifestanti fecero cadere la statua di Enver Hoxha in Piazza Skanderbeg e poi, dopo l’a solo per violoncello di Simaku “soliloqui II”, leggo l’incredibile irruzione della polizia all’inseguimento degli studenti che manifestavano in Piazza, durante la terza replica del Barbiere, fermata dal datore di luci italiano, omai mitico: “Qui si fa spettacolo, voi di qui non entrate”. E dopo l’ultimo di Peci “Zgjimi i dansit” con tutto l’Ensemble, leggo l’addio all’Albania degli orchestrali italiani, i due maestri, l’italiano e l’albanese, che si abbracciano piangendo alla frontiera, convinti di non rivedersi mai più.
E invece, quanta ne hanno fatta di musica insieme, in questi venti anni, Vittorio Parisi e Zhani Ciko. Che non è potuto venire, purtroppo del nostro terzetto di amici manca solo lui, ma aveva una importante prima all’Opera di Tirana, addirittura La Salomè di Strauss!Tutti i brani vengono calorosamente applauditi e alla fine il viceeconsole si ricrede: “Siete riuscite a fargli capire, gli avete trasmesso un’emozione”.
È vero, lo sentiamo anche noi, c’è stato come un cerchio magico, dalla musica alle parole, anche la sala non troppo grande aiuta il pubblico a non sentirsi distante dagli orchestrali. Il libro viene acquistato, funziona meglio la lettura dei brani che tante noiose presentazioni e si capisce che gli spettatori hanno capito che in Albania c’è una profonda e moderna cultura musicale, di tutto rispetto e coinvolgente nonostante le asprezze della musica contemporanea. A pranzo non perdiamo questa bella atmosfera e chiacchieriamo molto soddisfatti, ci conosciamo meglio, facciamo progetti.
Poi, di corsa verso Cremona, dove il tutto viene replicato nel Teatro Monteverdi.
Io non ce la faccio a ripetere proprio tutto uguale uguale, parlo del razzismo che c’era allora a Tirana, di uno verso l’altro tra gli stranieri nel Corpo Diplomatico e di tutti verso gli albanesi, a loro volta razzisti verso zingari e persone di colore. E ad ottobre a Tirana si è suonata Porgy and Bess, un’opera con cantanti neri, che ha avuto un bel successo!Il teatro è un pò più freddo, come struttura, ma alla fine il pubblico risponde lo stesso.
È finita, ognuno se ne va, Peci e sua moglie a Tirana, Simaku a York, io a Roma.
Il treno che mi riporta a casa si ferma a Verona, ho un’ora di tempo, ci vuole un bel cappuccino, mi siedo al tavolo chiedendo permesso ad una ragazza, poi scopro che è argentina, dopo un pò si aggiunge un’altra e…è albanese, vive lì. L’Argentina è di origine italiana, suo nonno era friulano. È qui perchè fa il designer di moda, ma è rimasta stupita, dopo la Spagna l’Italia le sembra un paese molto triste, pieno di gente triste. Dunque, non sono fisime mie, pessimismi. Si vede.
La ragazza albanese oggi trova dfficoltà, i veneti non amano dare lavoro agli stranieri.
Hanno dimenticato o vogliono dimenticare quand’erano poverissimi ed emigrarono a migliaia in America.”Avrei una modesta proposta” le dico ” e te la passo per quelli che sbraitano contro gli immigrati: mandare via dall’Italia i tre milioni e passa di stranieri che ci lavorano ed abitano e studiano, e rimpatriare i 50 milioni di italiani emigrati: in Argentina, in America, in Australia”. La ragazza mi guarda e il viso le si illumina. Ci facciamo tutte e tre una bella risata. Finalmente! per affrontare il prossimo treno muto, fino a Roma.